Novità del Codice della Strada a tutela dei ciclisti

La bicicletta è un vero e proprio mezzo di trasporto, soggetto alle stesse norme degli altri veicoli circolanti su strada, sostenibile ed economico, tant’è vero che l’Unione Europea ha dimostrato in questi ultimi anni un crescente interesse al fine di incentivarne l’utilizzo, in virtù anche dell’effetto positivo sull’impatto ambientale, oltre a quello sulla persona.

Non avremmo mai pensato che questo mezzo, la cui invenzione era già astrattamente raffigurata in un disegno nel codice Atlantico di Leonardo Da Vinci del 1490, poi concretamente costruito nel 1791, grazie all’ingegno del conte francese Mède De Sivrac che ideò il “Celerifero”, divenisse così popolare.

In Italia circolano 25 milioni di biciclette

Al giorno d’oggi, le statistiche parlano chiaro: il parco bici nazionale conta oltre 25 milioni di unità. Da un sondaggio Ipsos il 49 per cento degli italiani è in possesso di una bicicletta. Di questi il 26 per cento dichiara di utilizzarla per attività fisica, il 10 per cento per raggiungere il posto di lavoro ed il restante in combinazione tra mezzi pubblici e bike sharing. Nonostante l’Italia sia uno dei fanalini di coda riguardo l’utilizzo del velocipede rispetto agli atri Paesi europei, il numero di ciclisti sulle nostre strade, incrementato anche dall’utilizzo delle versioni elettriche, è veramente importante, al punto che la convivenza tra automobilisti e utenti del veicolo a due ruote è diventata critica.

Il Codice della Strada disciplina la condotta da tenere, sia dal ciclista, sia da parte dell’automobilista. La normativa che regola la circolazione delle biciclette è basata fondamentalmente sul D.lgs del 30 aprile 1992, n. 285, ossia il “Codice della Strada”, e sul Dpr del 16 dicembre 1992, n. 495 “Regolamento applicativo C.d.S.”. Nonostante ciò, il numero di sinistri stradali con esiti mortali nei quali sono rimasti coinvolti ciclisti nell’anno 2023 sfiora il numero di duecento.

 

Tanti, troppi gli incidenti con vittime i ciclisti, anche per la scarsità di piste ciclabili

Da un sondaggio Linear è emerso che l’indice di mortalità medio per un ciclista in Italia è di 1,92 per cento, più del doppio (0,77%) rispetto a chi va in auto e sei volte più alto (0,31%) di chi sceglie l’autobus. La normale diligenza, quindi, non risulta più sufficiente ad arginare questo grave fenomeno.

D’altro canto i ciclisti nel nostro Paese, specie nelle grandi città, sono costretti a condividere le strade con i veicoli a motore, vista la carenza di circuiti protetti o piste ciclabili. In Italia si contano in tutto 3.227 chilometri di ciclabili, contro i 35mila della Germania e i 17mila dell’Inghilterra. Le regioni più virtuose in tal senso sono l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia, il Trentino Alto Adige ed il Veneto. Nello specifico, la provincia di Modena vanta piste ciclabili per una lunghezza complessiva di circa duecento km, a fronte di un’estensione viaria di circa mille km. Se questa può essere un’eccellenza, non si può dire lo stesso per il resto d’Italia.

 

Le strade più a rischio per chi va in bici

Le situazioni critiche non si verificano soltanto nei grossi centri urbani, ma anche sulle strade Statali e sulle vie Provinciali, vuoi per le caratteristiche morfologiche dell’Italia, vuoi per la vetustà della rete viaria e spesso per l’impossibilità materiale di poter realizzare circuiti protetti. Per non parlare, poi, del fatto che circa il 40 per cento delle piste ciclabili esistenti è destinato ad uso promiscuo (bici e pedoni).

Ciò vuole dire che il ciclista è costretto, suo malgrado, a limitare la velocità solitamente nel range di 10-15 km/h e ovviamente a prestare attenzione alla circolazione pedonale, che nel periodo estivo ed in luoghi di vacanza diventa preponderante, unitamente al fenomeno dei monopattini elettrici in continua ascesa. Per questo motivo spesso, nonostante la presenza di circuiti protetti, il ciclista preferisce dividere la carreggiata con i veicoli a motore piuttosto che con i pedoni, andando quindi ad infrangere la norma del Codice della Strada, articolo 182 comma 9, che prevede l’obbligo dell’utilizzo del circuito protetto ove presente.

Il punto cruciale rimane comunque la caratteristica della nostra rete viaria che, nella maggior parte dei casi, non permette una sicura convivenza tra velocipede e veicoli a motore, innescando quindi quella infinita diatriba che caratterizza le due tipologie degli utenti della strada. La differenza di velocità, le caratteristiche dimensionali tra biciclette e vetture e la loro tipologia di conduzione sono i fattori principali che rendono pericoloso il transito simultaneo.

 

Le novità introdotte dal nuovo Codice della Strada: la bike lane

Il 27 giugno del 2023 il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo relativo al disegno di legge per la revisione del Codice della Strada. Le modifiche all’articolo 8 del decreto legislativo numero 285 (quello inerente alla circolazione dei velocipedi) sono mirate, in sostanza, al rafforzamento, all’individuazione e alla classificazione dei circuiti ciclabili.

Senza entrare nel particolare il decreto prevede l’individuazione/costruzione di strade urbane ciclabili, le cui caratteristiche principali sono quelle di dare priorità ai velocipedi, i quali potranno tenere una qualsivoglia posizione sulla carreggiata e di avere un limite di velocità di 30 km/h; corsie ciclabili, la cui particolarità è quella di estendersi longitudinalmente sul lato destro della carreggiata (in pratica la corsia ciclabile non sarà altro che quella parte di carreggiata che viene solitamente occupata dalle biciclette nelle strade urbane, si tratta quindi di un’alternativa nei casi dell’impossibilità di inserimento di una pista ciclabile); zone di attestamento ciclabile, ovvero un tratto di carreggiata compreso tra due linee di arresto traversali destinata all’accumulo e alle manovre dei velocipedi in attesa di ripartire da un semaforo.  L’attestamento ciclabile potrà essere inserito nei pressi di intersezioni semaforiche su strade a unica corsia per senso di marcia con limite massimo di velocità di 50 km/h, nelle quali sia presente una pista o una corsia ciclabile.

 

L’obbligo di sorprasso a una distanza di sicurezza laterale dal velocipede di 1,5 metri

Il disegno di legge prevede, inoltre, per i conducenti dei veicoli a motore – per quanto riguarda la manovra di sorpasso – che questa sia eseguita, ove possibile, ad una distanza di sicurezza laterale non inferiore ad 1,5 metri.

L’attuazione di tali norme potrà rendere certamente più sicuro l’utilizzo della bicicletta, cosa auspicata anche dall’Unione Europea, che ha fissato un traguardo ambizioso, quello di raddoppiare il numero di chilometri percorsi in bici entro il 2030 (operazione definita “cicling strategy”). Tale traguardo potrà essere raggiunto mediante la realizzazione di infrastrutture che permettano di migliorare la connettività tra aree sub urbane e centri urbani e tramite il rafforzamento della cosiddetta “multimedialità”, ovvero l’integrazione tra la bicicletta ed altri mezzi di trasporto.

 

I limiti anche “morfologici” della Penisola per la raccomandata estensione della rete ciclabile

D’altro canto, se tali regole sulla carta potranno favorire l’utilizzo del velocipede, che sia ad attivazione muscolare o a pedalata assistita, le condizioni reali del territorio italiano e della nostra rete viaria saranno certamente di notevole ostacolo in gran parte del nostro Paese per la realizzazione di tale progetto.

Ammesso che le Amministrazioni provinciali o comunali siano in possesso di adeguati fondi, il problema delle barriere architettoniche risulta comunque di difficile superamento. Circolando per l’Italia non è possibile non imbattersi in strade che attraversano paesi o piccoli centri urbani, anche Provinciali o Regionali, di dimensioni talmente ridotte da risultare prive non solo di piste ciclabili, ma anche di semplici marciapiedi. Opere non realizzabili poiché le abitazioni insistono su entrambi i lati della strada ad una ridottissima distanza dal margine della carreggiata. Per non parlare delle zone collinari o montane, tanto amate dai ciclisti amatoriali che solitamente sono asservite da strade ripide strette e tortuose, spesso prive di guardrail, dove risulta difficile anche lo scambio tra i veicoli.

 

I rischi della prevalente “circolazione promiscua”

Ad oggi, la condizione reale del territorio italiano vede, a parte qualche piccola realtà, la presenza di un ridotto numero di circuiti protetti dove circolare in bicicletta, sovente non connessi l’uno con l’altro, di dimensioni inadeguate, privi di corretta segnaletica, soprattutto nei pressi delle immissioni sulle carreggiate, sugli incroci o sulle rotatorie. Di fatto tale situazione implica che l’utilizzo della bici avvenga promiscuamente insieme ai veicoli a motore sulla normale rete viaria.

È intrinseco nella condotta di guida che caratterizza il velocipede, che questo non marci sempre in maniera rettilinea e che possa essere soggetto ad ondeggiamenti o spostamenti laterali dovuti a disconnessioni del piano viabile o a parziale perdita di equilibrio da parte del ciclista causata da agenti esterni, quali ad esempio il vento. Se queste situazioni possono essere imprevedibili, spesso anche per il ciclista, ve ne sono altre però che l’utente del veicolo a due ruote potrebbe evitare. Spesso, infatti, vediamo ciclisti, che in barba al Codice della Strada, omettono di arrestarsi al semaforo rosso o eseguono spostamenti laterali repentini, cambiando direzione senza segnalazione alcuna o anche pedalare in gruppi non in fila indiana.

 

Le principali tipologie di incidenti che vedono coinvolte le bici

È indispensabile quindi, per l’automobilista che solitamente viaggia a velocità ben superiore, riuscire a prevedere tali situazioni evitando la collisone. La maggior parte dei sinistri che vedono coinvolti i velocipedi in area extraurbana ha come dinamica il tamponamento, spesso verificatosi in ore notturne. Mentre in area urbana la mancata precedenza ed il contatto laterale sono più probabili. A proposito di quest’ultimo punto, è entrato in vigore dal 7 luglio 2024 un regolamento comunitario che prevede l’installazione obbligatoria sui veicoli di prima immatricolazione a partire da 35 quintali di portata lorda, di sistemi Adas in grado di supportare la visibilità anche nei così detti “angoli ciechi”.

Se le leggi e le normative da attuare ed in fase di attuazione sono certamente mirate alla salvaguardia del soggetto debole, l’odierna realtà vede la necessità del totale rispetto delle norme già in vigore e, soprattutto, del buonsenso che da sempre deve accumunare tutti gli utenti della strada.

Ing. Nicola Bartolini

Ingegnere e perito cinematico

 

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