Le norme per utilizzare e realizzare le piste ciclabili

La normativa che regola la circolazione delle biciclette è basata fondamentalmente su tre norme: il d.lgs 30 aprile 1992, n. 285 “Codice della Strada”, il Dpr 16 dicembre 1992, n. 495 “Regolamento applicativo CdS”, la Circolare Pcm 432 del 31/3/1993 “Principali criteri e standard progettuali per le piste ciclabili”.

 

Seguire le norme del Codice della strada e non pareri “estemporanei”

Esistono poi, spesso citati a sproposito nelle pagine Internet delle associazioni di ciclisti, una serie di presunti “pareri del Ministero per le Infrastrutture e Trasporti” su vari argomenti, quali la marcia in contromano dei ciclisti che, è bene chiarire subito, non hanno alcun valore giuridico o legislativo, non di rado risultando addirittura in contrasto con le norme sempre valide del CdS.

Ciascuno di essi si applica infatti a una ben precisa situazione “anomala” (e quindi potenzialmente soggetta a concessione di deroga da parte del MIT) sottoposta all’attenzione del Ministero da un amministratore locale e rispecchia, con valore limitato a quel caso specifico, “l’opinione” del funzionario che li ha compilati.

Nei siti web che li pubblicizzano l’interpellanza a cui rispondono non viene quasi mai riportata, dando l’impressione che il parere abbia validità “generale”, e dandone interpretazioni difformi dalle reali intenzioni dell’estensore. Il risultato è di suggerire ai ciclisti comportamenti irregolari che li espongono a situazioni di grave pericolo dove una delle parti (il ciclista), forte del “parere”, penserà di poter impunemente violare le prescrizioni del CdS, mentre la controparte (in genere un automobilista) si comporterà correttamente secondo normativa, presumendo che altrettanto faccia l’altra.

 

Le modalità di circolazione delle biciclette

Raccomandando quindi di attenersi alle norme legislative riconosciute, la circolazione delle biciclette può avvenire sostanzialmente in quattro modi: in promiscuo con i veicoli a motore, sulla carreggiata carrabile; in esclusiva sulle piste ciclabili (interdette sia ai veicoli a motore che ai pedoni); in promiscuo con i pedoni sui percorsi ciclopedonali (solo se non di pericolo o intralcio a chi va a piedi); sul marciapiede, ma solo condotta a mano anche in assenza di pedoni.

Sulle regole per la circolazione su strada non ci soffermiamo, in quanto ben note e dettagliate nel CdS, in particolare nell’art 182. Va però rimarcato che le prescrizioni che il ciclista deve rispettare non si esauriscono con quest’ultimo articolo: le biciclette sono infatti considerate “veicoli” a tutti gli effetti, e come tali soggette al rispetto di tutte le norme di comportamento generali raccolte tra l’art 140 e l’art 192, che impegnano ogni conducente a prevenire situazioni di pericolo o intralcio. Il ruolo di “soggetto debole” non esime il ciclista dall’assumere sempre un comportamento responsabile e a favore della sicurezza.

Le piste ciclabili

Passando alla circolazione su pista ciclabile (P. C.), il testo di riferimento per la loro realizzazione e utilizzo è invece la Circolare PCM 432 del 31/3/1993 che detta in modo molto preciso le caratteristiche geometriche, funzionali e di sicurezza minime che il percorso deve garantire, oltre alla segnaletica da prevedere (conforme a quella prevista per le strade dal CdS) e rispettare da parte del ciclista.

Le P. C., di qualsiasi tipo e in ogni contesto, si configurano come strade riservate a una specifica categoria di veicoli. Ciò significa che, come sulle strade carrabili, la circolazione è regolata dalle norme di comportamento del CdS e il ciclista, al verificarsi di sinistri, sia con pedoni che con auto o altre bici, può essere perseguito penalmente e civilmente per l’eventuale comportamento difforme.

Il rapporto con i pedoni

In merito al rapporto con i pedoni, valgono le regole degli art.190-191 CdS. Trattandosi di strade riservate, non è ammessa la loro presenza in pista ciclabile se non in corrispondenza degli attraversamenti segnalati che l’ente gestore ha (o dovrebbe aver) predisposto. Al di fuori di questi, i pedoni hanno l’obbligo di attraversare perpendicolarmente, concedendo la precedenza alle biciclette in transito, come i ciclisti hanno l’obbligo di permettere al pedone che abbia già iniziato l’attraversamento di concluderlo in sicurezza, all’occorrenza fermandosi.

La velocità prescritta

Altro fattore da tener presente è la velocità, regolata dagli artt. 141/142. Ogni P. C. ha una sua velocità di progetto nominale e in funzione di questa vanno calcolati i campi di visibilità e i raggi delle curve. Normalmente, la velocità di calcolo è assunta tacitamente in 25 km/h: se non è possibile garantire la marcia in sicurezza a tale andatura, l’ente gestore è tenuto ad apporre cartelli che indichino la minor velocità compatibile ammessa. E se non ci sono? Il ciclista è comunque tenuto ex art.141/1 CdS a mantenere una velocità “commisurata” alle condizioni della circolazione e alle sue capacità di arrestarsi in sicurezza entro il proprio campo di visibilità.

Le intersezioni

Analoghe considerazioni valgono per il comportamento in corrispondenza di intersezioni e immissioni laterali. L’art 145/1 CdS prescrive che ogni conducente adotti “la massima prudenza” nell’avvicinarsi alle intersezioni, il che include di prevedere anche eventuali manovre irregolari involontarie ma “prevedibili” da parte dei veicoli antagonisti. Ciò vale in particolare in corrispondenza di immissioni laterali fiancheggiate strettamente da edifici, con visibilità laterale preclusa per chi si immette. In tal caso è prevedibile e inevitabile che l’automobilista sia costretto ad avanzare lentamente alla cieca sino a quando non può vedere lateralmente, e che il muso dell’auto invada parzialmente la ciclabile. Sino a quel momento egli non può avere contezza della presenza di un eventuale ciclista, che dovrà pertanto, a sua volta, adeguare il suo comportamento per evitare collisioni, riducendo la velocità, segnalando con il campanello la sua presenza, accostandosi il più possibile al margine opposto della P. C. e predisponendosi a un arresto di emergenza, se necessario.

Tornando ai principi di corretta realizzazione di una P. C., il concetto di riferimento cui la norma si ispira è di ridurre o se possibile annullare la pericolosità dell’interazione tra il traffico ciclistico e quello automotive, tramite due azioni fondamentali: la massimalizzazione della distanza fisica tra i due flussi, se possibile con barriera di separazione invalicabile, e la riduzione del differenziale di velocità tra biciclette e altri veicoli in transito.

 

Meglio la ciclabile in sede propria

L’applicazione pratica di questi concetti porta a due distinti tipi di P. C.: quella da preferirsi, “in sede propria”, e quella di ripiego, “su corsia riservata”. Quando possibile, fuori dalle strade pedonali o locali, andrebbe privilegiata la realizzazione in “sede propria”, separata dalla carreggiata carrabile da uno spartitraffico invalicabile in rilevato di larghezza minima di 70 cm. Quando ciò, per questioni di spazio, non sia possibile, si può realizzare una pista in “corsia dedicata”, soggetta a una pesante quanto doverosa limitazione: può essere solo unidirezionale, collocata alla destra del traffico automobilistico ed equiversa a questo. Ciò comporta che, per coprire entrambi i sensi di marcia, andranno previste due P. C. distinte e separate, entrambe unidirezionali e collocate ai due lati opposti della strada (in foto, un pessimo esempio di pista ciclabile su corsia riservata)

Il differenziale di velocità

Questa prescrizione risponde a una necessità pratica, evitare che le velocità auto-biciclette si sommino: il differenziale di velocità, infatti, aumenta in fase di incrocio e in presenza di una distanza laterale esigua. Poiché è previsto che sulle corsie sia sempre indicato il senso di marcia, imboccare la P. C. dal lato sbagliato equivale a una marcia contromano, sanzionabile ai sensi dell’art 143C.11-12, e comporta una quota di responsabilità maggioritaria in caso di sinistro.

Su quali strade possono o no passare le P. C.

Inoltre, non è possibile la realizzazione di ciclabili in corsia riservata su strade extraurbane o urbane di scorrimento, in quanto caratterizzate da velocità sostenuta. Su questo punto, la circ. rif 3) è chiara e all’ art 1.5 specifica che: sulle autostrade extraurbane e urbane la circolazione ciclistica è proibita; sulle strade extraurbane primarie, la circolazione ciclistica è da proibire; sulle strade extraurbane secondarie e urbane di scorrimento le piste ciclabili – ove occorrano – vanno realizzate su sede propria, salvo nei casi in cui i relativi percorsi protetti siano attuabili sui marciapiedi; sulle strade urbane di quartiere e sulle strade locali extraurbane, le P. C. possono essere realizzate, oltre che su sede propria, anche con corsie riservate; sulle strade locali urbane, le P. C. vanno sempre realizzate con corsie riservate, ma soltanto in ambito urbano e su strade di quartiere.

 

Gli errori progettuali

La differente conformazione e destinazione dei due tipi di P. C. è quindi sostanziale e inequivocabile, ma purtroppo nell’interpretazione (errata e basata principalmente su valutazioni di costo di realizzazione) di molti amministratori locali poco attenti alla sicurezza dei cittadini, si vengono spesso a creare assurde commistioni progettuali che dovrebbero invece essere respinte con forza già in sede di collaudo, senza attendere il verificarsi di gravi incidenti. E’ il caso, ad esempio, delle piste su corsia riservata, separate dalle corsie carrabili frapponendo solo esigui “delineatori di corsia preformati larghi poco più di 20 cm (infinitamente più economici di un’aiuola strutturale), erroneamente classificate dall’Ente proprietario come “in sede propria” e da questo aperte al traffico bidirezionale. Tali realizzazioni sono da considerarsi potenzialmente irregolari, non rispettando i requisiti di distanziamento ed invalicabilità richiesti. In caso di caduta o marcata deviazione, il delineatore non evita infatti che il ciclista possa invadere, cadendo, la sede carrabile e la maggior velocità relativa dovuta alla marcia in versi opposti, con il ciclista che va incontro alla vettura anziché allontanarsene, aumenta enormemente il rischio di arrotamento.

La Segnaletica

Sulle P. C. può (e in caso di necessità, deve) essere apposta la medesima segnaletica prevista per le corsie carrabili: vanno perciò indicati inizio, fine e interruzione della corsia riservata, l’obbligo di arresto alle intersezioni, eventuali condizioni particolari di pericolo. Deve inoltre essere presente la segnaletica orizzontale di delimitazione delle singole corsie e indicato il verso di percorrenza di ciascuna. Sulle P. C. sono vietati la sosta e la fermata, anche dei cicli: nel caso, vanno spostati sul marciapiede o nelle aree apposite, senza creare intralcio al traffico.

 

I percorsi ciclopedonali e le loro notevoli limitazioni

Spesso confusi con le piste ciclabili, i percorsi ciclopedonali (C. P.) sono in realtà percorsi pedonali su cui, in via eccezionale, è consentito il transito di biciclette, alle seguenti condizioni: la velocità dei cicli deve essere mantenuta al di sotto dei 10 km/h; in presenza di pedoni, il ciclista deve concedere loro la precedenza e non costituire intralcio o pericolo; se il loro numero è consistente, deve scendere dalla bici o spostarsi sul margine della corsia carrabile; in corrispondenza delle intersezioni, il ciclista deve assumere il comportamento del pedone.

Come si vede, le limitazioni al traffico ciclabile nei percorsi ciclopedonali sono molteplici e giustificate dallo spirito con cui sono concepiti dal legislatore: essi dovrebbero costituire solo un’eccezione alla più razionale realizzazione di P. C. e marciapiede affiancati, ma vengono invece sempre più diffusamente utilizzati dagli amministratori locali come alternativa economica, anche dove la loro realizzazione risulta irregolare.

 

I requisiti dei P. C.

I requisiti prescritti dalla legge perché la realizzazione del percorso C. P. sia lecita sono che: il traffico ciclabile previsto sia esiguo e renda non giustificabile una pista dedicata (non è quindi corretto che, nell’ambito di un medesimo itinerario, si alternino P. C. e percorsi C. P.); il tratto interessato stradale si trovi in parchi o zone prevalentemente pedonali, che non siano itinerari commerciali e non passino per insediamenti ad alta intensità abitativa o altre fonti di potenziali assembramenti di pedoni; sia realizzato in sede propria o sul marciapiede, e comunque ben separato dalla sede carrabile; la larghezza della sede ciclopedonale sia almeno pari ma preferenzialmente superiore a quella minima prevista per le corsie ciclabili, ossia 1,5 metri se unidirezionale, 2,5 m se bidirezionale, per consentire sufficienti spazi di separazione tra i due flussi.

Va inoltre sottolineato che, proprio per il suo carattere prevalentemente pedonale, il percorso C. P. è privo, in corrispondenza delle intersezioni, della segnaletica specifica rivolta agli veicoli per informarli della possibile presenza di cicli in transito. I ciclisti, nonostante da più parti si continui a sostenere il contrario, in fase di attraversamento sono tenuti a comportarsi da pedoni, specie per la velocità.

 

I tanti “illeciti” sui percorsi ciclopedonali

Alcuni amministratori, credendo di fare cosa buona, “trasformano” gli attraversamenti pedonali lungo i percorsi ciclopedonali in ciclabili, apponendovi la segnaletica orizzontale specifica. Si tratta di un illecito: l’art 182 CdS specifica in modo incontrovertibile che gli attraversamenti ciclabili possono essere usati solo per unire due tratti di pista ciclabile, ovvero due tratti di corsia riservata esclusivamente ai ciclisti e non in altri casi. Inoltre, anche negli attraversamenti di intersezioni, sulle P. C. in corsia riservata si deve mantenere il regime di senso unico.

Analoghe considerazioni valgono per gli attraversamenti ciclabili isolati tracciati perpendicolarmente alla carreggiata, fuori dalle aree d’intersezione e in assenza di una P. C. su ambo i lati della carreggiata di cui possano costituire prolungamento. Il ciclista che per impegnarli deviasse improvvisamente dal margine della carreggiata, attraversando perpendicolarmente, formalmente violerebbe l’art 377 c. 7 del Reg. Appl. CdS, costituendo ostacolo e insidia imprevedibili.

Dunque, alle normali insidie che un traffico misto può inevitabilmente creare, si aggiungono quelle dovute all’ignoranza o scarsa attenzione di chi questo traffico è chiamato a organizzare. Ed è (anche) su questo piano che la battaglia per la sicurezza stradale andrebbe combattuta.

Ing. Enrico Dinon

Ingegnere cinematico

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brunello
1 anno fa

E incredibile come a Torino in str, Antica di Collegno ,per eseguire una pista ciclabile a doppio senso, trasformando la stessa strada pericolosa , stretta ,assurda . Continui ingorghi per il passaggio di camion della spazzatura pulman di linea e parcheggi sui due lati della carreggiata . Sulla strada vi e un ricovero per anziani un asilo , una piscina e varie attivita commerciali . In oltre sono stati eliminati i dissuasori e piazzati i cartelli per limitare la velocita a 30 km ora ,che nessuno naturalmente rispetta .
PS. mi domando dove possa arrivare l’intelligenza umana

Renato Grassano
2 mesi fa

Buon giorno,

mi sono imbattuto nel vostro articolo nel tentativo di capire quale sia la massima velocità delle bici sulle ciclopedonali.

Voi citate la circolare Circolare PCM 432 del 31/3/1993 dove, al comma 3.7, indica come velocità da non superare 10 Km/ora. La domanda che vi faccio é: quale valore ha questa prescrizione se praticamente in nessuna ciclopedonale é indicato tale limite?

La polizia locale, interpellata dal sottoscritto, dice che il limite é lo stesso della strada veicolare che affianca la ciclopedonale che può arrivare sino a 50 km/ora nelle città! Per multare chi va forte o investe un pedone sulla ciclopedonale applicano l’articolo 141 (E’ obbligo del conducente regolare la velocità’ del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche…..)

A me sembra che c’e qualche cosa che non va perché per guidare una bici non occorre la patente e quindi il Ciclista non é tenuto a conoscere le prescrizioni dell’articolo 141 cds che neppure molti automobilisti conoscono. Molto meglio sarebbe stato mettere il cartello del limite di velocità a 10 Km/ora su ogni ciclopedonale che tutti possono intendere ma nessun comune lo mette. Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione al riguardo.

Ringrazio e saluto, Renato
 

Blog Giuridico
Admin
Reply to  Renato Grassano
1 mese fa

Egregio signor Renato, il quesito che Lei pone è particolarmente interessante, perché ci consente di tornare su di una questione assai delicata quale l’interpretazione delle norme del codice della strada in materia di limiti di velocità e velocità adeguata (l’art. 141 da lei correttamente citato).

A riguardo, è bene precisare come la conoscenza del codice non sia legato al possesso di alcuna patente, tant’è che il codice si applica anche ai pedoni, sicché, cosiderando il principio per cui ignorantia legisla non excusat – la mancata conoscenza di una norma di legge non è ragione che giustifica la sua violazione, per cui tutti sono tenuti a conoscere le leggi vigenti nel proprio paese – circostanza invero diabolica se si pensa all’enormità di leggi e regolamenti che siamo in grado di produrre, dovremmo pur sempre rifarci al normativa vigente.

Ne consegue che anche il ciclista deve rispettare sia i limiti di velocità massima, e qui sorge il primo problema di un’interpretazione molto popolare per cui se un qualsiasi veicolo viaggia rispettando i limiti di velocità sta viaggiando nel rispetto della norma, cadendo in un errore – spesso fatale – non solo interpretativo. Il limite posto su qualsivoglia tratto stradale o ad esso assimilato è la velocità massima che in condizioni perfette di traffico, visibilità, climatiche, può ritenersi prudente e corretto. Appena uno dei fattori prima indicati muta (è notte, piove, c’è traffico) la norma da rispettare è un’altra, prevalente e generale: il rispetto della velocità adeguata allo stato dei luoghi. Circostanza non di poco conto se si considera che in caso di un sinistro se presume la responsabilità concorsuale paritetica e quindi che la mia velocità none era adeguata, salvo fornire una prova attendibile che l’altro mezzo coinvolto sia il responsabile esclusivo dell’incidente.

Inquadrato il contesto legislativo, dobbiamo, invece, convenire sull’opportunità di apporre anche un cartello che indichi la velocità massima di percorrenza (soprattutto nelle ciclo-pedonali) consentito, ciò che potrebbe garantire una adeguata deterrenza e prevenzione a comportamenti pericolosi per sé e per gli altri.

Avv. Marco Frigo