La nuova class action per tutti

Potranno intraprenderla tutti e ci si potrà “aggregare” anche a sentenza pronunciata. Solo alcune delle più significative novità della riforma della Class Action, approvata in via definitiva dal Senato il 3 aprile 2019 a larga maggioranza con 206 voti favorevoli, uno solo contrario e 44 astenuti. Basterà per rilanciare un istituto che di fatto in Italia non è mai decollato, contrariamente a quanto accade soprattutto nei Paesi anglo-sassoni? Certo è che a distanza di 14 anni, la precedente legge 206 mostrava tutti i suoi limiti, troppo farraginosa e lenta: andava obiettivamente modificata.

Non più solo per consumatori e utenti

La novità più rilevante è senza dubbio lo spostamento della disciplina dell’azione di classe dal Codice del Consumo al Codice di procedura civile e, di conseguenza, il passaggio di competenza alle sezioni specializzate in materia di impresa di tribunali e Corti d’Appello.

Un cambiamento che non è solo “formale”, dato che viene estesa in maniera generalizzata la legittimazione ad agire a tutti i soggetti che avanzino pretese risarcitorie rispetto a condotte lesive delle imprese, sia sul fronte contrattuale sia extra contrattuale, e quindi non più solo consumatori e utenti. Nel nuovo testo, infatti, non compare più la parola «consumatori», ma sì parla di «diritti individuali omogenei».

A promuovere l’azione potranno dunque essere anche organizzazioni o associazioni no profit che puntano alla tutela dei diritti omogenei, e che sono iscritte in un elenco tenuto dal Ministero della Giustizia.

Ad allargarsi è inoltre il perimetro oggettivo di applicazione. Anche se sono confermate individualità e omogeneità dei diritti, la legge individua nella class action lo strumento utile per tutte le ipotesi di responsabilità contrattuale (in linea con la disciplina vigente) e di responsabilità extracontrattuale, oggi limitate a pratiche commerciali scorrette e comportamenti anticoncorrenziali.

Per esempio, nel caso del “Dieselgate”, la disciplina attuale fa valere “solo” la lesione alla normativa sulla concorrenza (prodotto diverso da quello pubblicizzato); in futuro si potranno far valere anche lesioni a diritti come quello alla salute o all’ambiente. Non è un caso che Confindustria abbia espresso non poche “perplessità”, per quanto la class action potrà essere usata anche dagli imprenditori.

 

I “destinatari” dell’azione di classe

I destinatari dell’azione di classe possono dunque essere imprese ed enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, ma non la Pubblica amministrazione: una «anomalia» segnalata da più parti.

Oltre ad essere ampliate le situazioni giuridiche tutelate con la previsione di un’azione inibitoria collettiva verso gli autori delle condotte lesive, vengono previsti anche una disciplina per gli accordi transattivi tra le parti (il tribunale può tentare un accordo fino all’ultima fase della causa) ed un sistema di incentivi a favore dei promotori delle azioni e legali.

Con le nuove regole si avrà anche una certezza sui tempi dei ricorsi. La nuova class action viene infatti articolata in tre fasi: la prima e la seconda relative, rispettivamente, all’ammissibilità dell’azione e alla decisione sul merito, l’ultima relativa alla liquidazione delle somme dovute agli aderenti all’azione.

Il tribunale avrà 30 giorni di tempo per decidere sull’ammissibilità dell’azione, la relativa ordinanza andrà pubblicata entro 15 giorni e sarà reclamabile entro 30 giorni in Corte d’appello, che deciderà con ordinanza entro 30 giorni.

 

Si potrà aderire anche dopo

Non sono consentiti ricorsi su contenziosi del passato, ovvero la class action non può essere chiesta per eventi accaduti prima dell’entrata in vigore della legge. Ma grazie ad un meccanismo di «opt in» entro determinati termini si potrà aderire all’azione di classe sia nella fase successiva all’ordinanza sia dopo la sentenza.

Un ente abilitato o un singolo deposita­no il ricorso (è un rito accelera­to). Il tribunale, come detto, deve verificare l’ammissibilità dell’azione (che non sia del tutto infondata e che riguardi diritti omogenei). Vie­ne fissata un’udienza e gli inte­ressati possono aderire fin da allora. Si passa alla trattazione della causa, senza formalità.

Il giudice può ordinare all’im­presa la produzione di prove (sono previste sanzioni in caso di inottemperanza). Il giudice può decidere anche in base a dati statistici e a presunzioni semplici. Se accoglie la domanda, con la sentenza si apre la procedura di adesione vera e propria, individuando un giudice delegato e nominando il rappresentane comune de­gli interessati. Quest’ultimo deve elaborare un progetto dei diritti individuali, che deve passare il vaglio del giu­dice delegato e contiene le ci­fre di spettanza dei singoli.

A questo punto o l’impresa paga o il rappresentante comune passa all’esecuzione forzata collettiva.

 

Costi, pubblicità e informatizzazione

La legge pre­vede un compenso derivante dalla quota lite, cioè una som­ma che l’impresa deve paga­re al rappresentante comune degli aderenti e al difensore del ricorrente. La somma è un importo aggiuntivo calcolato in percentuale dell’importo complessivo dovuto a tutti gli aderenti, decrescente rispetto al numero dei componenti la classe.

Tutti i possibili interessati potranno avere no­tizia della class action su appo­sito portale internet, che dovrà essere realizzato dal Ministero della giustizia. La legge prevede, infine, anche una procedura informatizzata delle adesioni attraverso il futuro portale mi­nisteriale.

Non ci vuole neces­sariamente un avvocato. Nella adesione si deve conferire una procura a una figura chiave della procedura e cioè al rap­presentante comune degli ade­renti. Con l’adesione bisogna versare un fondo spese.

«L’azione di classe sinora era limitatissima e aveva diversi paletti che l’avevano resa inutiliz­zabile nel corso degli anni. Ora di­venta uno strumento generale che i cittadini, deboli da soli, potranno utilizzare, unendosi per fare valere i propri diritti»: questo il commento soddisfatto del Ministro della Giustizia Bonafede.

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