L’errore nelle cure non sgrava di responsabilità il datore di lavoro

A meno che l’errore medico non sia stato veramente abnorme, l’eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nel prestare le cure alla vittima di un infortunio sul lavoro non può ritenersi causa autonoma e indipendente tale da interrompere il nesso causale tra la condotta di chi ha causato l’incidente, nello specifico il datore di lavoro a causa delle purtroppo solite violazioni delle norme antinfortunistiche accertate, e le lesioni o, peggio ancora, il decesso del lavoratore. Lo ha chiarito la Cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza n. 23718/2023, depositata il 31 maggio 2023, di particolare interesse in tema di “cause sopravvenute”.

Grave infortunio di un operaio ad un occhio

La vicenda. Un operaio edile, mentre era intento a costruire un muretto in calcestruzzo, aveva provato a tagliare una radice sporgente con un badile, ma dall’attrezzo si era staccata una scheggia metallica che lo aveva colpito all’occhio sinistro, non protetto da occhiali di sicurezza o altri schermi.

L’incidente aveva reso necessaria la rimozione chirurgica del cristallino e la sua sostituzione con uno artificiale ed un trapianto corneale che però non era riuscito per rigetto, con conseguente inabilità al lavoro per 553 giorni e menomazione dell’integrità psico-fisica riconosciuta dall’Inail in misura del 25 per cento.

Datore di lavoro condannato per svariate violazioni alle norme infortunistiche

Il datore di lavoro dell’infortunato era stato riconosciuto in entrambi i gradi di merito responsabile del reato di lesioni colpose gravi conseguenti alla violazione di plurime regole a tutela della sicurezza del lavoratore: non aveva fornito i necessari dispositivi di sicurezza (gli occhiali protettivi); la specifica attività compiuta dall’operaio non era contemplata né dal DVR, il Documento di Valutazione dei Rischi, né dal POS, il Piano Operativo di Sicurezza; non era stata impartita all’operaio, benché svolgesse mansioni ad alto rischio, una formazione adeguata; infine, non vi era un preposto o caposquadra che vigilasse sul corretto uso dei dispositivi di protezione e sul rispetto di specifiche disposizioni da seguire.

 

L’imputato ricorre per Cassazione chiamando in causa gli errori dei medici nelle cure

L’imputato tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione con diversi motivi di doglianza, ma quello che qui preme riguarda la presunta, erronea applicazione della legge penale in relazione all’inosservanza del criterio di imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti anche rispetto all’omessa valutazione di decorsi causali autonomi.

Il datore di lavoro, in particolare, ha censurato l’omessa valutazione da parte dei giudici territoriali dell’incidenza del ritardo diagnostico intervenuto in occasione dell’accesso al pronto soccorso da parte del lavoratore infortunato e del fatto che la menomazione dell’organo della vista sarebbe in realtà dipesa dalla non immediata estrazione del corpo estraneo dall’occhio, da ricondurre alla condotta dei sanitari che la sera del sinistro si erano limitati a comunicare l’assenza dello specialista e a rimandare a casa il paziente.

Pertanto, secondo il legale del datore di lavoro, la concretizzazione del rischio di gravità tale da comportare la sussunzione del contegno omissivo nell’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 590 cod. pen. sarebbe stata ascritta in maniera oggettiva all’imputato pur a fronte di un evento imprevedibile.

Ma la Suprema Corte ha rigettato come inammissibile il motivo di ricorso. La tesi difensiva, che ipotizzava una condotta colposa della vittima o di terzi soggetti successivamente all’infortunio, con conseguente efficienza causale rispetto all’indebolimento permanente dell’organo, secondo gli Ermellini non è giustificata da alcun appiglio concreto nell’istruttoria espletata.

 

La negligenza medica non interrompe il nesso di causa con la condotta omissiva del datore

Ma, anche a prescindere da questa constatazione già dirimente, i giudici del Palazzaccio hanno riaffermato il principio secondo il quale “l’eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un infortunio sul lavoro, ancorché di elevata gravità, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’infortunio e la successiva morte della vittima (o l’aggravamento delle lesioni), posto che i potenziali errori di cura costituiscono, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, mentre, ai fini della esclusione del nesso di causalità, occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l’evento letale”.

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