Come va riconosciuto il danno tanatologico

Nel caso di condotta colpevole del sanitario, a cui sia conseguita la perdita anticipata della vita – che si sarebbe comunque verificata in epoca successiva per pregressa patologia del paziente – non è concepibile, né logicamente né giuridicamente, un danno da “perdita anticipata della vita” trasmissibile iure successionis, non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico.

È, invece, possibile riconoscere il “danno da perdita anticipata della vita”, con riferimento al diritto iure proprio degli eredi, rappresentato dal pregiudizio da minor tempo vissuto dal congiunto. E’ una sentenza di vasta portata quella, la n. 35998/2023, depositata il 27 dicembre 2023, con la quale la Cassazione, III Sez. Civ., affrontando un caso di mala sanità, ha ribadito e meglio chiarito i principi base sulla delicata e complessa tematica della risarcibilità del danno cosiddetto tanatologico.

Asl condannata a risarcire i familiari di un paziente vittima di un comprovato errore medico

I familiari di un uomo avevano citato in giudizio un’azienda sanitaria per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla morte, per insufficienza cardiaca, del loro caro. La tragedia, secondo loro, andava addebitata alla condotta colposa del medico di turno della Guardia medica a cui la vittima si era rivolta, appena due giorni prima, accusando forti dolori allo stomaco, ricevendone però solo indicazioni diagnostiche relative a una cattiva digestione, con la prescrizione di fermenti lattici e due fiale del farmaco “Plasil”.

Il tribunale aveva accolto la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, dalla consulenza tecnica giudiziale espletata in prime cure era emerso che il dolore toracico epigastrico era riconducibile a una sindrome coronarica acuta di natura cardiaca.

Il medico che aveva seguito il paziente si era genericamente concentrato sulla patologia digestiva senza esami mirati e senza neppure inviarlo al Pronto Soccorso. Secondo la Ctu, la vittima, senza le colpose omissioni del sanitario, avrebbe avuto una elevata possibilità di sopravvivenza, dell’80 per cento, e quantificabile in almeno sette anni, tenuto conto delle sue pregresse condizioni patologiche dato che sei mesi prima della tragedia aveva effettuato una visita cardiologica con cui si erano evidenziate tracce di infarto miocardico e cardiopatia ischemica.

 

Risarcibile per i giudici anche per il danno da perdita anticipata della vita iure successionis

In conclusione per i giudici territoriali ne era derivata una perdita anticipata della vita causalmente, oltre che colposamente, imputabile, fonte di danno reclamabile “iure successionis”. Per la Corte d’Appello inoltre spettava, ed era stato richiesto dai congiunti sin dall’atto di citazione, anche il danno non patrimoniale “iure proprio”. E non era scorretto il criterio di liquidazione del danno seguito dal Tribunale, che aveva quantificato il valore di un’invalidità permanente al cento per cento di un soggetto di 63 anni, età della vittima, secondo il punto tabellare delle Tabelle di Milano.

Aveva poi effettuato due abbattimenti, del 30 per cento per le pregresse condizioni della vittima, e di due terzi in relazione al fatto che essa avrebbe avuto l’80 per cento di possibilità di vivere limitatamente ad altri sette anni. Infatti, una volta accordato il danno da perdita di “chance” quale sopra inteso, il risarcimento di quello avrebbe dovuto essere integrale, sicché non avrebbero dovuto operarsi nemmeno le suddette riduzioni, con conseguente carenza d’interesse alla doglianza di eccesso nella liquidazione formulata sul punto dalla Asl in appello sia per ciò che concerneva il danno a titolo ereditario che quello a titolo proprio.

Infine, secondo i giudici di seconde cure non poteva dirsi sussistente alcun concorso colposo della vittima ai sensi dell’art. 1227 c.c., in relazione alle dedotte raccomandazioni di richiamare telefonicamente, ovvero chiamare il numero di emergenza 118, formulate dal dottore, inevase dai congiunti conviventi, poiché ai familiari era stata comunicata una diagnosi tranquillizzante e non avrebbero potuto richiedersi loro valutazioni mediche sui sintomi, tenuto conto che le condizioni per il ricovero erano esistenti già al momento della visita presso la Guarda medica.

L’Asl tuttavia ha proposto ricorso contro la sentenza anche per Cassazione, lamentando in primis il fatto che la Corte d’appello avrebbe travisato il proprio motivo di appello inerente all’impossibilità di accordare il danno da perdita anticipata della vita “iure successionis, stante l’impossibilità di liquidare quello tanatologico, con conseguente spettanza del solo e diverso danno “iure proprio” da lesione del rapporto parentale. Inoltre, secondo la ricorrente i giudici avrebbero errato, in logica subordinazione a quanto dedotto con la prima censura, operando, per il danno a titolo successorio, un abbattimento del 30 per cento determinato in modo arbitrariamente immotivato, senza consulenza tecnica sul punto. E non tenendo neppure conto del fatto che la durata della vita cui avrebbe dovuto rapportarsi la liquidazione non era quella media, ma quella determinata dalle sue pregresse condizioni patologiche.

Infine, l’azienda sanitaria ha censurato la sentenza per aver sbagliato nel ritenere richiesto il danno “iure proprio” non patrimoniale da perdita di “chance”, mentre era stato richiesto, a tale titolo, solo quello non patrimoniale per la perdita del familiare e quello patrimoniale per la perdita del relativo apporto economico.

 

Per la Suprema Corte è risarcibile solo il danno da perdita anticipata della vita iure proprio

Ebbene, per la Cassazione il primo e principale motivo di ricorso è fondato, con assorbimento degli altri. “In ipotesi di condotta colpevole del sanitario a cui sia conseguita la perdita anticipata della vita, perdita che si sarebbe comunque verificata, sia pur in epoca successiva, per la pregressa patologia del paziente – spiega la Suprema Corte – non è concepibile, né logicamente né giuridicamente, un danno da “perdita anticipata della vita” trasmissibile “iure successionis”, non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico: è possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita”, con riferimento al diritto “iure proprio” degli eredi, rappresentato dal pregiudizio da minor tempo vissuto dal congiunto”.

Pertanto, in caso di morte del paziente dipendente (anche) dall’errore medico, qualora l’evento risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, “tale ultima dovendosi ritenere lo stato patologico non riferibile alla prima, l’autore del fatto illecito risponde “in toto” dell’evento eziologicamente riconducibile alla sua condotta, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, potendo l’eventuale efficienza concausale dei suddetti eventi naturali rilevare esclusivamente sul piano della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all’autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, invece, all’autonoma e pregressa situazione patologica del danneggiato”.

Gli Ermellini fanno anche un esempio pratico. “Causare la morte d’un ottantenne sano, che ha dinanzi a sé cinque anni di vita sperata, non diverge, ontologicamente, dal causare la morte di un ventenne malato che, se correttamente curato, avrebbe avuto dinanzi a sé ancora cinque anni di vita. L’unica differenza tra le due ipotesi sta nel fatto che, nel primo caso, la vittima muore prima del tempo che gli assegnava la statistica demografica, mentre, nel secondo, muore prima del tempo che gli assegnava la statistica e la scienza clinica: ma tale differenza non consente di pervenire ad una distinzione “morfologica” tra le due vicende, così da affermare la risarcibilità soltanto della seconda ipotesi di danno. È possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita”, con riferimento al diritto iure proprio degli eredi, solo definendolo il pregiudizio da minor tempo vissuto ovvero da valore biologico relazionale residuo di cui non si è fruito, correlato al periodo di tempo effettivamente vissuto”.

 

Le voci di danno che possono essere risarcite iure hereditario

In conclusione, nell’ipotesi di un paziente che, al momento dell’introduzione della lite, sia già deceduto, sono, di regola, alternativamente concepibili e risarcibili iure hereditario, se allegati e provati, i danni conseguenti: alla condotta del medico che abbia causato la perdita anticipata della vita del paziente (determinata nell’an e nel quantum), come danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita effettivamente vissuta), considerato nella sua oggettività, e come danno morale da lucida consapevolezza della anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile soltanto a far data dall’altrettanto eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita; alla condotta del medico che abbia causato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (non determinata né nell’an né nel quantum), come danno da perdita di chances di sopravvivenza”.

Ma in nessun caso, ribadisce la Cassazione,  “sarà risarcibile iure hereditario, e tanto meno cumulabile con i pregiudizi di cui sopra, un danno da “perdita anticipata della vita” con riferimento al periodo di vita non vissuta dal paziente”: pertanto, “quando sia certo che la condotta del medico abbia provocato (o provocherà) la morte anticipata del paziente, la morte stessa diviene, di regola, evento assorbente di qualsiasi considerazione sulla risarcibilità di chance future, salvo quanto si dirà”.

 

I chiarimenti su danno biologico, morale e da perdita di chance

I giudici del Palazzaccio, infatti, ai fini di una terminologia chiara e condivisa, hanno chiarito anche che: “a) vivere in modo peggiore, sul piano dinamico-relazionale, la propria malattia negli ultimi tempi della propria vita a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, rappresenta un danno biologico (differenziale); b) nel contempo, trascorrere quegli ultimi tempi della propria vita con l’acquisita consapevolezza delle conseguenze sulla (ridotta) durata della vita stessa a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, costituisce un danno morale, inteso come sofferenza interiore e come privazione della capacità di battersi ancora contro il male; perdere la possibilità, seria apprezzabile e concreta, ma incerta nell’an e nel quantum, di vivere più a lungo a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, è un danno da perdita di chance; c) la perdita anticipata della vita per un tempo determinato a causa di un errore medico in relazione al segmento di vita non vissuta, è un danno risarcibile non per la vittima, ma per i suoi congiunti, nei termini prima chiariti, quale che sia la durata del “segmento” di esistenza cui la vittima ha dovuto rinunciare”.

La Cassazione conclude pertanto “che non vi è spazio, in linea generale, per sovrapposizioni concettuali tra istituti speculari (chance e perdita anticipata della vita), salvo che si chiariscano e si accertino, motivando rispetto alla concreta fattispecie, le differenze come sinora ricostruite. Ne consegue che: a) nel caso di perdita anticipata della vita (una vita che sarebbe comunque stata perduta per effetto della malattia), sarà risarcibile il danno biologico differenziale (nelle sue due componenti, morale e relazionale), sulla base del criterio causale del “più probabile che non”: l’evento morte della paziente, verificatasi in data X, si sarebbe verificata, in assenza dell’errore medico, dopo il tempo (certo) X+Y, dove Y rappresenta lo spazio temporale di vita non vissuta; il risarcimento sarà riconosciuto, con riferimento al tempo di vita effettivamente vissuto – e non a quello non vissuto, che rappresenterebbe un risarcimento del danno da morte (riconoscibile, viceversa, iure proprio, ai congiunti) stante l’irrisarcibilità del danno tanatologico – in tutti i suoi aspetti, morali e dinamico-relazionali, intesi tanto sotto il profilo della (eventuale) consapevolezza che una tempestiva diagnosi e una corretta terapia avrebbero consentito un prolungamento (temporalmente determinabile) della vita che va a spegnersi, quanto sotto quello della invalidità permanente “differenziale” (la differenza, cioè, tra le condizioni di malattia effettivamente sopportate e quelle, migliori, che sarebbero state consentite da una tempestiva diagnosi e da una corretta terapia); b) il danno da perdita di chance di sopravvivenza sarà invece risarcito, equitativamente, ogni volta che, da un lato, vi sia incertezza sull’efficienza causale della condotta illecita quoad mortem, ma, al contempo, vi sia certezza eziologica che la condotta colpevole abbia cagionato la perdita della (come detto apprezzabile) possibilità di vivere più a lungo (possibilità non concretamente accertabile nel quantum né predicabile quale certezza nell’an, a differenza che nell’ipotesi sub a). La valutazione equitativa di tale risarcimento non sarà, dunque, parametrabile, sia pur con le eventuali decurtazioni, né ai valori tabellari previsti per la perdita della vita, né a quelli del danno biologico temporaneo; c) il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l’accertamento si sia concluso nel senso dell’esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere ancora più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile, e sempre che entrambi i danni siano riconducibili eziologicamente (secondo i criteri rispettivamente precisati) alla condotta colpevole dell’agente”.

Sempre fermo il generale principio della generale irrisarcibilità dell’ulteriore danno da perdita di chance in presenza di un danno da perdita anticipata della vita, “in via eccezionale – aggiunge la Cassazione – possono darsi ipotesi in cui il giudice di merito ritenga, anche sulla base della prova scientifica acquisita, che, oltre al tempo determinato di vita anticipatamente perduta, esista, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, la seria, concreta e apprezzabile possibilità (sulla base dell’eziologica certezza della sua riconducibilità all’errore medico) che, oltre quel tempo, il paziente avrebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo. In tal caso, sempre che e soltanto se tale possibilità non si risolva in una mera speranza, ovvero si collochi in una dimensione di assoluta incertezza eventistica, che non attinga la soglia di quella seria, concreta, apprezzabile possibilità (come lascerebbe intendere, in via di presunzione semplice, l’avvenuta morte, benché anticipata, del paziente), tale ulteriore e diversa voce di danno risulterà concretamente e limitatamente risarcibile, in via equitativa, al di là e a prescindere dai parametri (sia pur diminuiti percentualmente) relativi al danno biologico e al quello da premorienza“.

Venendo al caso di specie, conclude la Suprema Corte, “è stato accertato in fatto che, senza l’omissione del sanitario, colposamente causale, la vittima, deceduta per infarto due giorni dopo, avrebbe “più probabilmente che non” vissuto un periodo di vita determinato, di sette anni, come tale risarcibile “iure proprio” non “iure successionis”, in linea con quanto osservato anche dal Pubblico Ministero”. La sentenza impugnata è stata pertanto cassato sul punto e la Suprema Corte, decidendo direttamente nel merito, ha dunque escluso la “condanna risarcitoria statuita per il danno a titolo ereditario”.

 

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