I DANNI RIFLESSI DEI CONGIUNTI DELLA VITTIMA

Diritti dei famigliari della vittima verso i responsabili civili per “danno riflesso”

 

Parleremo di “danno riflesso” e dunque di quel danno che viene perpetrato verso un soggetto legato alla “vittima” e dunque destinatario delle conseguenze subite da quest’ultimo.

Il momento storico attuale, nel quale, quasi quotidianamente, si leggono notizie di cronaca aventi ad oggetto fatti illeciti derivanti da errori medici, responsabilità delle strutture sanitarie e, ancor più, sinistri stradali – molto spesso mortali -, ci offre l’occasione di esaminare il problema della risarcibilità dei danni causati da fatti illeciti, questa volta dal punto di vista dei soggetti che, pur non essendone le vittime dirette, risultano comunque titolari di diritti propri da far valere nei confronti dei responsabili civili.

Con l’espressione ““danno riflesso”“, infatti, si indica, in dottrina e giurisprudenza, il nocumento che viene arrecato ad un terzo, ritenuto la vittima secondaria del fatto illecito, rispetto al soggetto danneggiato ma pur sempre destinatario delle conseguenze pregiudizievoli subite da quest’ultimo per effetto della condotta illecita altrui.

Il tema della risarcibilità del danno riflesso rientra in quello della plurioffensività dell’illecito civile, che permette la risarcibilità del danno non solo nell’ambito del rapporto autore/vittima (coniuge o convivente), ma nei confronti anche del terzo che subisce la violazione di un interesse costituzionalmente presidiato, quale può essere quello alla integrità delle relazioni familiari e, più in generale, quello alla conservazione di un legame di solidarietà che si fonda non solo su un rapporto di coniugio, ma anche di convivenza caratterizzato da una comunione di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale stabile e duratura.

Il terzo, definito la vittima secondaria o “di rimbalzo”, deve trovarsi pertanto in un particolare rapporto con la vittima dell’illecito (familiare/convivente more uxorio) tale da subirne le conseguenze in termini di compromissione dei propri diritti, che si sostanzia in un peggioramento della qualità della vita, in una sofferenza morale ed anche in un vulnus alla integrità psico-fisica.

In sostanza, il danno riflesso, pur trovando la sua origine in un evento che colpisce la vittima principale, si produce nella sfera giuridica delle cosiddette vittime secondarie o di rimbalzo, le quali acquisiscono il diritto al risarcimento del relativo pregiudizio iure proprio. E ciò sia con riferimento ai danni non patrimoniali (biologico, morale, esistenziale), sia a quelli patrimoniali, derivati dal venir meno dell’apporto dell’attività lavorativa del soggetto leso.

E’ utile ricordare che gli orientamenti tradizionali, sia giurisprudenziali sia dottrinali, hanno sempre negato la risarcibilità iure proprio del danno non patrimoniale c.d. “da riflesso”. La giurisprudenza di legittimità di qualche tempo fa, in particolare, escludeva che i prossimi congiunti della persona offesa dal reato di lesioni personali, ancorché di minore età, avessero diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali, che peraltro veniva riconosciuto nel caso di morte della vittima.

A sostegno di questa impostazione sul danno riflesso la giurisprudenza supportava una lettura restrittiva dell’art. 1223 del Codice civile, dietro la quale si leggeva la preoccupazione di un eccessivo ed incontrollabile ampliamento dell’area risarcibile.

Tuttavia, un altro filone interpretativo della questione, nell’ambito del Supremo Collegio di legittimità, sviluppava una rivisitazione del nesso di causalità che legava evento e conseguenze negative sulla sfera dei congiunti, facendo così risultare insufficiente il riferimento al disposto di cui all’art. 1223 cod. civ. per escludere il risarcimento del danno morale in favore degli stessi congiunti del leso, poiché non vi era dubbio che il loro stato di sofferenza psichica e morale trovasse causa efficiente, per quanto mediata, pur sempre nel fatto illecito del terzo nei confronti del soggetto leso (cosiddetta teoria della causalità adeguata – cfr. Cass. Civ., sez. III, 23.04.1998, n. 4186).

Da questo punto in poi, pertanto, si è aperto alla risarcibilità del danno riflesso, resa attraverso una ricostruzione avanzata della teoria della causalità adeguata, che ha condotto, grazie ad un’opportuna evoluzione giurisprudenziale, ad una interpretazione estensiva dell’art. 1223 cc, risultando configurabile il nesso eziologico tra condotta ed evento anche rispetto a quegli accadimenti che in astratto sono prevedibili, ossia normale conseguenza della condotta illecita.

Come nel caso, per l’appunto, dei familiari della vittima (o del convivente more uxorio) che, a seguito dell’evento illecito, subiscono una compromissione dei propri diritti in termini di peggioramento della qualità della propria vita e di sofferenza morale e finanche sotto il profilo della integrità psico-fisica (danno psicologico), laddove medico-legalmente riscontrabile (v. ex multis Cass. S.U. 9556/2002).

Infatti, si è consolidata ormai da qualche anno – nella giurisprudenza di merito e di legittimità – la convinzione che meriti accoglienza, ove adeguatamente allegata e dimostrata, non solo la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale dei prossimi congiunti di un soggetto deceduto, ma anche quella dei parenti stretti di una persona la quale abbia riportato lesioni gravissime seppure non con esito mortale.

In particolare, l’indirizzo uniformemente condiviso dai tribunali e dalle corti italiane è quello di ammettere a risarcimento siffatte istanze laddove le medesime siano connesse a una macrolesione approssimativamente stimabile in un danno biologico permanente del 60 per cento.

Mette conto rilevare, a tale riguardo, che la mera titolarità di un rapporto familiare non determina automaticamente il diritto al risarcimento danni, essendo necessario, di volta in volta, verificare in che cosa il legame affettivo sia consistito ed in che misura la lesione, subita dalla vittima primaria, abbia inciso sulla relazione fino a comprometterne lo svolgimento.

Pertanto, il danno dei congiunti della vittima di lesioni personali non ammette alcun automatismo. Così nella convivenza more uxorio il diritto al risarcimento danni, a favore del superstite (astrattamente ammissibile), è condizionato alla prova della esistenza di una relazione stabile e duratura con la vittima. Gli eredi di quest’ultima, se agiscono iure proprio dovranno rivolgersi al Giudice Ordinario. E’ competente, invece, il Giudice del Lavoro laddove intendano agire iure hereditatis con tutte le problematiche legate alla trasmissibilità del c.d. danno catastrofico da morte, in relazione soprattutto ai tempi di sopravvivenza del de cuius dopo l’evento illecito.

La Suprema Corte di Cassazione, dunque, indica, quale criterio da assumersi ai fini del risarcimento, quello della personalizzazione della lesione patita, che esclude ogni automatismo, per privilegiare l’integrale ristoro del danno effettivamente subito da tutti i soggetti lesi, dovendo tenere conto delle condizioni soggettive di ciascun danneggiato nonché le conseguenze pregiudizievoli, evidentemente ulteriori in base alle peculiarità del caso concreto.

Il vero problema è, poi, quello delle modalità di entificazione del risarcimento richiesto. Rispetto a tale tematica la tendenza era quella per cui il Giudice doveva effettuare una valutazione equitativa complessiva, che teneva in considerazione proprio la peculiare relazione che ciascun danneggiato aveva con la vittima, la situazione familiare, le abitudini di vita e ogni altra circostanza rilevante ai fini di una corretta quantificazione dei danni che, si ribadisce, doveva essere effettuata in base al principio del loro integrale ristoro, così come subiti da tutti i soggetti coinvolti, direttamente o in via riflessa, dalla lesione medesima.

Tuttavia, una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, sez. III n. 12470 del 18 maggio 2017, ha affrontato con piglio decisamente innovativo la problematica della risarcibilità dei danni riflessi dei prossimi congiunti di un soggetto macroleso, rispetto alla quale, come si è visto, la tendenza palesata dalle sentenze in materia è quella di affidarsi al criterio equitativo puro senza alcun riferimento alle vigenti tabelle milanesi; questa ultime, com’è noto, prevedono espressamente una forbice risarcitoria (oscillante tra un minimo e un massimo) per i prossimi congiunti della vittima di un evento letale.

Nel caso che ci occupa, la ricorrente aveva agito per ottenere il risarcimento del proprio danno non patrimoniale derivante dall’investimento marito, il quale aveva riportato un danno biologico del 70 per cento. Il tribunale le aveva riconosciuto una liquidazione (comprensiva di danno morale, danno biologico e danno da alterazione della vita coniugale) di circa 63mila euro. La donna proponeva appello invocando l’applicazione delle tabelle milanesi e sottolineando che la gravità del danno subito era talmente elevata da essere sostanzialmente equiparabile a quella conseguente alla perdita tout court del rapporto parentale.

I giudici di secondo grado aumentavano l’importo della somma elevandolo a circa 104mila euro sulla base di un criterio che potremmo, benevolmente, definire “creativo” piuttosto che “equitativo”.

Il giudice di legittimità cassava la sentenza in questione, in quanto la medesima non ha fatto un uso, sia pure meditato e temperato, dei parametri previsti dalla tabelle milanesi per i prossimi congiunti di un soggetto deceduto.

La Corte di Cassazione, quindi, ha messo nero su bianco un principio che  rappresenterà la stella polare di tutti coloro che si cimenteranno, d’ora in poi, nel difficile compito di quantificare economicamente quel dolore umanamente incommensurabile che si accompagna a tutte le tragedie come quella di cui trattasi.

Il riferimento è al brano della pronuncia, in cui si legge che l’alterazione irreversibile cagionata dalle tragedie in questione non è destinata ad evolversi positivamente con l’avanzare dell’età dei coniugi giacché “ai problemi fisici e psichici riportati dal marito a seguito dell’incidente è destinato a sommarsi il normale deterioramento delle condizioni fisiche di entrambi conseguenti all’avanzare dell’età”.

In definitiva, la Suprema Corte cristallizza un principio di somma equità, imponendo l’impiego dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale a favore dei prossimi congiunti di una persona deceduta anche ai casi di liquidazione a favore dei prossimi congiunti di un macroleso.

In considerazione di ciò, l’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano, lo scorso 14 marzo ha reso note le Tabelle aggiornate al 2018 per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psicofisica e dalla perdita o grave lesione del rapporto parentale. Dette tabelle non prevedono solo un adeguamento dei valori rispetto alle tabelle precedentemente emesse, ma aggiungono una disciplina di taluni ulteriori aspetti.

Sono stati aggiunti, infatti i criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del bene salute definito da premorienza, quelli per la liquidazione del danno terminale, quelli per la liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa e, infine, i criteri orientativi per la liquidazione ex art. 96 III comma cpc.

In merito al danno da grave lesione del rapporto parentale, qui d’interesse, l’Osservatorio ribadisce che la misura del danno non patrimoniale risarcibile alla vittima secondaria è disancorato dal danno biologico subito dalla vittima primaria.

Infatti, sarà necessario ai fini delle liquidazione del danno al familiare tenere conto della natura e intensità del legame tra vittime secondarie e vittima primaria, nonché delle quantità e qualità dell’alterazione della vita familiare (da provarsi anche tramite presunzioni).

Proprio la difficoltà di tipizzare le infinite variabili nei casi concreti, suggerisce l’individuazione solo di un possibile tetto massimo di liquidazione, che corrisponde al tetto massimo per ciascuna ipotesi prevista nel caso di perdita del rapporto parentale, – da applicare solo allorché sia provato il massimo sconvolgimento della vita familiare – non essendo possibile ipotizzare un danno non patrimoniale “ medio”.

Come riporta, invero, lo stesso Osservatorio: ”Ad esempio, il giudice per il danno non patrimoniale subito dalla madre in conseguenza della macrolesione del figlio, potrà liquidare da zero ad € 331.920,00 corrispondente al massimo sconvolgimento della vita familiare (che potrebbe in ipotesi sussistere se la madre avesse lasciato il lavoro per dedicare tutta la propria vita all’assistenza morale e materiale del figlio).”

In conclusione, pertanto, appare ancora una volta decisivo l’apporto della giurisprudenza a corroborare e, talvolta, sostituire il legislatore, nella difficile lotta per l’affermazione dei diritti dei danneggiati, comprovando, una volta di più, che il sistema italiano si pone tra i più sensibili nella tutela di queste situazioni.

 Avv. Andrea Piccoli

Foro di Treviso

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