Ddl di riforma del processo civile contro le liti temerarie

Non è un mistero che spesso le compagnie assicurative (e non solo), pur di non risarcire i danneggiati, o di farlo il più tardi possibile, frappongano obiezioni al limite dell’irrazionale con lo scopo di farli desistere di fronte all’eventualità di una causa o di trascinarli per anni un procedimento.

Questo metodo, d’ora in poi, potrebbe essere meno “conveniente”.

 

Gli emendamenti governativi al ddl di riforma del processo civile

Com’è noto, infatti, il 16 giugno 2021 la Commissione Giustizia del Senato si è riunita per l’esame degli emendamenti governativi depositati all’atteso disegno di legge delega sulla riforma del processo civile: emendamenti che sono 24, che, come previsto, sono stati firmati dalla Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e che ora inizieranno il loro iter parlamentare, nella prospettiva di un approdo nell’aula di Palazzo Madama a partire dal 20 luglio.

Secondo il Governo, si tratta del “primo pilastro di un ampio progetto di riforma” con l’obiettivo principale di un abbattimento in cinque anni del 40% del tempo di definizione dei processi civili, secondo l’impegno assunto dall’Italia con l’Unione Europea.

 

Per ridurre la durata dei processi si punta molto sulla giustizia alternativa

Per la Guardasigilli, i cardini della riforma sono due: “rendere più immediata e sicura la risposta di giustizia nei tribunali e, aspetto tutt’altro che secondario, stimolare una cultura della ricomposizione consensuale dei conflitti, contrastando gli eccessi di litigiosità”. Per questo si valorizzano con importanti incentivi fiscali anche gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie”.

Gli emendamenti presentati dal Governo, entrando nello specifico, puntano a una riforma che semplifichi i procedimenti civili nelle forme e nei tempi, fornisca risposte più celeri alle esigenze quotidiane dei cittadini, e favorisca l’attrazione degli investimenti stranieri.

Tra le principali novità, come detto, la valorizzazione delle forme di giustizia alternativa, la semplificazione del procedimento civile (anche stabilizzando le innovazioni telematiche introdotte durante l’emergenza Covid), il rafforzamento della tutela del credito nel processo esecutivo, una semplificazione per i giudizi in materia di lavoro, l’istituzione di un rito unitario in luogo della frammentazione dei procedimenti di famiglia, preservando le specificità della giustizia minorile. Lo spirito della riforma, dunque, risiede nell’idea di un processo “agile”, all’insegna della “collaborazione tra le parti“, i difensori e il giudice.

 

Mano pesante con chi agisce o resiste in giudizio con malafede

E proprio nell’ambito di questi doveri di collaborazione tra le parti e i terzi si colloca un intervento governativo che introduce modifiche e integrazioni al codice di procedura civile al fine di ampliare la casistica di applicazione dell’art. 96 del codice di rito. Tale norma, infatti, configura una responsabilità aggravata a carico della parte soccombente in giudizio che abbia agito o resistito con la coscienza dell’infondatezza dell’azione o eccezione, senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione.

L’emendamento governativo mira a estendere la possibilità di pronunciare la condanna di cui all’art. 96, terzo comma, anche nei confronti della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. Oltre ad aggiungere tale ulteriore criterio, l’emendamento prevede che, con la medesima condanna, possa essere disposto dal giudice, anche d’ufficio, a favore della controparte, il pagamento di una somma equitativamente determinata, non superiore al doppio delle spese liquidate e, a favore della cassa ammende, il pagamento di una somma in misura non superiore a cinque volte il contributo unificato o, in caso di esenzione di quest’ultimo, non superiore nel massimo a cinque volte il contributo dovuto per le cause di valore indeterminabile. Basterà?

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