IL DANNO ACUSTICO VA RISARCITO ANCHE IN ASSENZA DI LESIONI BIOLOGICHE

I contenuti dell’articolo 844 del Codice Civile e le recenti sentenze della Cassazione in materia di tollerabilità

Il divieto di immissioni, com’è noto, si inquadra nell’ambito della regolamentazione giuridica dei rapporti di vicinato. Il principio generale che governa la materia risale all’età dei Severi, nel periodo imperiale di Roma, e all’acuta intuizione del giureconsulto Ulpiano che preconizzava il diritto di ciascuno di fare ciò che desidera nel proprio immobile, purché non immetta alcunché nella proprietà altrui. Sebbene tale divieto appaia di natura assoluta, la lettura completa del brano ulpianeo e della minuziosa casistica illustrata nei Digesti giustinianei, e risalente alle controversie giurisprudenziali classiche, dimostra che sul finire del Principato si era già individuato il criterio di normale tollerabilità, adottato anche ai giorni nostri (art. 844 Codice Civile).

Muovendo da tale presupposto storico, un corretto inquadramento del risarcimento del danno da inquinamento acustico deve incentrarsi sulla disamina dei pronunciamenti della Corte di Strasburgo in tema di violazione della Carta Europea dei diritti dell’Uomo, ed in particolare sotto il profilo del rispetto del domicilio, della vita privata e della vita in generale.

A prescindere dalle singole normative adottate da ciascuno Stato membro in merito alla tutela dell’ambiente, infatti, l’obbligo positivo che incombe sul legislatore nazionale di assicurare ai cittadini un contesto di vita salubre e privo di insidie per l’integrità psico-fisica dell’individuo si trova per la prima volta timidamente affermato, sotto l’aspetto del rispetto della qualità della vita e delle gioie del focolare, nel caso Powell et Rainer contro Regno Unito (sentenza del 21 febbraio 1990), concernente ipotesi di inquinamento acustico dovuto al traffico dell’aeroporto di Heathrow.

Ma è a partire dalle sentenze nei casi Lopez Ostra contro Spagna (6 dicembre 1994) e Guerra contro Italia (19 febbraio 1998), entrambe adottate all’unanimità, che la Corte di Strasburgo segna il passaggio dalla protezione del domicilio, intesa quale sfera rilevante della sicurezza e del benessere personale, alla tutela affettiva del più generale diritto al rispetto della vita privata e familiare e con il riconoscimento dell’esistenza di un diritto individuale ad un ambiente calmo, esente da inquinamento e rispettoso della salute.

In quest’ambito, va ricordato che nel nostro ordinamento sussistono due livelli di tutela di fronte all’immissione rumorosa: da una parte il regime amministrativo deputato alla Pubblica Amministrazione (disciplinato dalla legge n. 447 del 1995 e dal D.P.C.M. del 1997) e, dall’altro, i principi civilistici che regolano i rapporti tra privati riconducibili nell’ambito del codice agli artt. 844 e 2043 c.c., dotati di fondamento costituzionale e comunitario.

Secondo il maggioritario orientamento della Corte di Cassazione, l’eventuale rispetto, da parte del soggetto a cui vengono imputate immissioni acustiche intollerabili, della normativa pubblicistica contenuta nel DPCM 14.11.1997 non fa venir meno la possibilità che esso possa esser ritenuto responsabile sotto il profilo civilistico, in caso di violazione dei sopra ricordati artt. 844 e 2043 c.c. La Corte ha avuto infatti più volte modo di affermare che, nell’ambito non già della tutela della quiete pubblica ovvero del rapporto tra privali e P.A., bensì dei rapporti tra privati, l’osservanza delle normative tecniche speciali non è dirimente nell’escludere l’intollerabilità delle immissioni (v. Cass. n. 8474 del 2015), trattandosi di fattispecie che deve essere vagliata secondo l’ordinario criterio di cui alla disposizione generale dell’art. 844 cit., nel senso che il superamento della soglia codicistica di tollerabilità delle immissioni ben può essere riscontrata pur nell’accertato rispetto dei limiti di cui alla normativa tecnica.


E’ stato in proposito affermato (Cass. n. 1151 del 2003; Cass. n. 1418 del 2006; Cass. n. 939 del 2011; Cass. n. 17051 del 2011 e, più recentemente, in materia di rumorosità da sorvolo aereo, Cass. n. 15233 del 2014) che, in materia di immissioni – mentre è illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità -, l’eventuale rispetto degli stessi non può fare considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi in concreto alla stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c.. E, inoltre, che alla materia delle immissioni sonore o da vibrazioni o scuotimenti atte a turbare il bene della tranquillità nel godimento degli immobili adibiti ad abitazione, non è applicabile la Legge 26 ottobre 1995, n. 447, sull’inquinamento acustico, poiché tale normativa, come quella contenuta nei regolamenti locali, persegue interessi pubblicistici disciplinando, in via generale ed assoluta, e nei rapporti cosiddetti verticali fra privati e la P.A., i livelli di accettabilità delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete.

Ancora, che la disciplina delle immissioni moleste in alieno nei rapporti fra privati va sempre rinvenuta nell’art. 844 c.c., sulla cui base, quand’anche dette immissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice, che tenga conto di tutte le peculiarità della situazione concreta.

Viene altresì ribadito che la valutazione imposta al giudice ex art. 844 c.c., risponde – nel contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà – alla tutela di preminenti diritti di rilievo costituzionale, come quello alla salute ed alla qualità della vita.

Tale principio parrebbe abrogato e superato dall’art. 6 ter inserito dalla legge di conversione 27.2.2009, n. 13 nel testo del Decreto Legge 30.12.2008 n. 208, che così recita: “Art. 6-ter. – (Normale tollerabilità delle immissioni acustiche). 1. Nell’accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’articolo 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso”.

Sembrerebbe, infatti, che in materia di immissioni ed emissioni acustiche, il legislatore abbia superato tutto il dibattito dottrinario e giurisprudenziale ed i criteri elaborati dalla giurisprudenza a tutela del privato a fronte delle immissioni, chiarendo definitivamente che i valori limite da rispettare sono semplicemente ed unicamente, senza alcuna differenziazione tra tutela privatistica ed amministrativa, quelli indicati dal D.P.C.M. 19.11.1997.

Tuttavia, come già osservato da Cass. n. 8474 del 2015, valorizzando anche le affermazioni della Corte Costituzionale che si è già espressa sulla conformità della disciplina stessa ai principi costituzionali, alla norma deve necessariamente essere data un’interpretazione costituzionalmente orientata, e non necessariamente derogatoria del principio di accertamento in concreto della normale tollerabilità da parte del giudice, tenuto anche conto del principio generale per cui “il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente, rispetto alle esigenze della produzione, il soddisfacimento ad una normale qualità della vita” (Cass. n. 5564 dell’8 marzo 2010).

La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 103 del 2011 con la quale ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale su di essa dedotta, ha affermato proprio che dal solo dettato dell’art. 6 ter cit. non può aprioristicamente evincersi una portata derogatoria e limitativa dell’art. 844 c.c., senza prima tentare di sperimentare diverse interpretazioni idonee a preservare la norma stessa dai sollevati profili di denunciata incostituzionalità. Aggiunge poi che all’assai generica locuzione “sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso”, contenuta nella norma in esame, non debba necessariamente riconoscersi una portata derogatoria rispetto alla disciplina codicistica in tema di immissioni. Nell’identificare il significato della norma e nel vagliare l’eventuale influenza di tale clausola di salvezza rispetto ai criteri civilistici di accertamento del limite della normale tollerabilità delle immissioni acustiche, il giudice delle leggi segnala come non si possa prescindere dal criterio guida della protezione del diritto alla salute nonché del diritto al rispetto della vita privata e familiare, imposto dall’art. 8 Cedu; sulla base, però, non già del mero rispetto di un limite tabellare assoluto, bensì della concreta incidenza (id est: tollerabilità) delle immissioni nello specifico e mutevole contesto della loro manifestazione, così come imposto dall’ormai consolidata interpretazione giurisprudenziale dell’art. 844 c.c., disposizione che lo stesso art. 6 ter prevede che continui ad essere applicata.


Inquadrato l’ambito di operatività del concetto di inquinamento acustico, riconducibile ad ipotesi di intollerabili immissioni sonore, deve, infine, valutarsi la natura dei danni risarcibili, in particolare qualora, a causa dell’inquinamento acustico patito, il soggetto passivo non abbia sviluppato una patologia accertabile da Ctu medica.

Com’è noto, a partire dalle arcinote sentenze di S. Martino la Corte di Cassazione ha inteso ridisegnare l’arca del danno non patrimoniale risarcibile espungendone sia i pregiudizi inconsistenti che avevano trovato occasionalmente tutela nei giudizi di merito, pur non potendo assurgere a lesioni meritevoli di tutela, che le duplicazioni ingiustificate delle voci di danno.


Tuttavia, da ciò non si può far automaticamente discendere la conclusione per cui il danno non patrimoniale sarebbe risarcibile soltanto qualora ad esso si associ una lesione del diritto alla salute, ovvero un vero e proprio danno biologico. La stessa sentenza n. 26972 del 2008 ha chiarito che il danno alla qualità dell’esistenza trova tutela soltanto quando esso si verifichi in conseguenza della lesione di un diritto costituzionalmente garantito (escludendo in tal modo i danni bagatellari), con ciò non precludendo però la strada alla possibilità di porre a fondamento della risarcibilità del danno non patrimoniale un diritto fondamentale diverso rispetto al diritto alla salute, quali la lesione di interessi costituzionalmente protetti, come l’inviolabilità del domicilio e la tutela della famiglia.

Proprio in tema di risarcibilità del pregiudizio per immissioni che superino la soglia di tollerabilità, la Corte di Cassazione ha più volte affermato già in passato che, pur quando non risulti integrato un danno biologico, la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane sono pregiudizi apprezzabili in termini di danno non patrimoniale (v. Cass. n.7875 del 2009), ovvero che l’accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza (v. Cass. n. 26899 del 2014).

Senza dimenticare che il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare è uno di quelli protetti dalla Convenzione Europea dei diritti umani (art. 8). La Corte di Strasburgo ha fatto più volte applicazione di tale principio anche a fondamento della tutela alla vivibilità dell’abitazione e alla qualità della vita all’interno di essa, riconoscendo alle parti assoggettate ad immissioni intollerabili un consistente risarcimento del danno morale, e tanto pur non sussistendo alcuno stato di malattia.

A seguito della c.d. “comunitarizzazione” della Cedu, conseguente all’approvazione del trattato di Lisbona da parte del nostro Paese, il giudice interno che abbia a trattare casi di immissioni dovrà pertanto conformarsi anche ai criteri elaborati in seno al sistema giuridico della Convenzione. In ragione di tale, nuova prospettiva giuridica di riferimento, esaustivamente richiamata da Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 luglio – 16 ottobre 2015, n. 20927 Presidente Salmé – Relatore Rubino, esce rafforzata dal fondamento normativo costituito dall’art. 8 Cedu la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite anche a prescindere dalla sussistenza di un danno biologico documentato.

Avv. Marco Frigo

Foro di Padova

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