Lesione parentale: il risarcimento spetta anche ai nipoti della vittima

Il risarcimento danni in seguito ad una lesione parentale abbraccia anche i nipoti della vittima: la relazione, sebbene non “diretta”, rientra comunque tra quelle prossime e di conseguenza può presuntivamente concernere un danno morale serio ed apprezzabile.

A chiarire il concetto è la Corte di Cassazione, III Sez. Civ., con l’ordinanza 26140/23, pubblicata il 7 settembre 2023, in cui partendo da un tragico incidente stradale ha fornito importanti precisazioni sul tema del risarcimento danni ad ampio raggio.

Incidente stradale ed esclusiva responsabilità dell’automobilista

La vicenda prende le mosse da un drammatico caso di cronaca accaduto nel gennaio del 2004 a Napoli. Un uomo, durante l’attraversamento della carreggiata, è stato investito da una Opel Corsa che viaggiava ad alta velocità e che non si è accorta del pedone. Questi è deceduto poche ore dopo a causa dei gravissimi politraumi riportati. La responsabilità del sinistro è stata ascritta esclusivamente al conducente dell’auto, rinviato a giudizio e condannato ad otto mesi di reclusione per omicidio colposo, con annessa sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per quattro mesi.

A richiedere il risarcimento per i danni subiti, oltre ai congiunti diretti della vittima, sono stati anche i nipoti ex frate del de cuius, che risultavano – stando al testamento – eredi legittimi, insieme alla moglie e ai fratelli.

 

Il ricorso della compagnia assicurativa per mancata prova del vincolo parentale

Il Tribunale di Nola ha accolto la domanda risarcitoria dei sette nipoti, condannando l’assicurazione a liquidare un importo di circa 70mila euro per ciascuno degli aventi diritto. La compagnia, però, avverso la suddetta sentenza, ha proposto appello chiedendo che i nipoti venissero esclusi dal diritto dell’indennizzo per la perdita dello zio, in quanto la domanda era “sfornita di prove in ordine alla sussistenza effettiva di un vincolo affettivo di particolare intensità con la vittima del sinistro” – per citare l’ordinanza della Suprema Corte.

Inoltre, a prescindere da ciò, veniva riconosciuta un’eccessiva liquidazione del danno da perdita di rapporto parentale in favore dei nipoti: in primo grado sono state utilizzate dai giudici le Tabelle di Roma, ma stando alla compagnia assicurativa il ricorso a questo criterio di valutazione sarebbe totalmente ingiustificato.

A sorpresa la Corte d’appello, dopo aver passato al vaglio il fascicolo della sentenza del Tribunale, ha accolto l’appello proposto dall’assicurazione, rigettando quindi la domanda risarcitoria dei sette nipoti della vittima, i quali però hanno proposto ricorso in Cassazione.

 

Le premesse in tema di danno non patrimoniale

Gli Ermellini, prima di scendere nei dettagli del caso in essere, hanno ritenuto opportuno compiere un’articolata ricognizione circa il danno non patrimoniale, così da poter fornire una chiara e completa spiegazione.

Innanzitutto il Palazzaccio ha ribadito l’importanza dell’onere probatorio degli aventi diritto: “il giudice di merito – si legge nell’atto – in vista dell’accertamento e della quantificazione del danno non patrimoniale risarcibile, è sollecitato a procedere a compiuta istruttoria, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi, oltre alla testimonianza, il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni”.

Premesso ciò, la Corte ci ha tenuto a fornire, partendo da sue stesse precedenti sentenze, una precisa e puntualissima differenziazione tra il danno morale e quello dinamico-relazionale, per chiarirne al meglio peculiarità, differenze e punti in comune, oltre che dettagli per quanto concerne il tema risarcitorio.

 

Danno morale e danno dinamico-relazionale

Nel momento in cui si andrà ad analizzare il danno alla salute sono da distinguere e valutare sia l’aspetto interiore della lesione non patrimoniale, ossia il cd. danno morale (che si colloca nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso), sia l’aspetto dinamico-relazionale, ovvero ciò che riguarda il rapporto del danneggiato con la realtà esterna.

Esiste – spiega con estrema chiarezza il Giudice – una ontologica differenza tra danno morale e danno dinamico-relazionale, in quanto il danno alla persona, nella sua dimensione umana ancor prima che giuridica, postula il riconoscimento, da un lato, della sofferenza interiore, dall’altro, delle mutate dinamiche relazionali di una vita che cambia a seguito dell’illecito”.

Si tratta di danni diversi – prosegue la Suprema Corte – e perciò entrambi autonomamente risarcibili, sempre che, e solo se, provati caso per caso, all’esito, si ribadisce, di articolata ed esaustiva istruttoria, tenendo conto che il danno dinamico-relazionale può formare oggetto di prova rappresentativa diretta, mentre il risarcimento del danno morale può rappresentare soltanto l’esito terminale di un ragionamento deduttivo”.

 

Cosa comprende il risarcimento del danno parentale

Sul tema del risarcimento, nell’atto si prosegue poi richiamando le più recenti sentenze che si sono espresse in merito. In sostanza ciò che è appurato è che in seguito alla morte di una persona causata da terzi, spetta di diritto ai parenti un risarcimento iure proprio per la sofferenza patita e per la modifica delle consuetudini di vita.

Il ristoro comprenderà sia il profilo morale – inteso come sofferenza psichica per l’impossibilità di proseguire un rapporto – che quello relazionale, ossia la svolta di vita (in negativo) che il soggetto subisce per la perdita, che alle volte può anche condizionare l’intera esistenza di una persona.

 

L’onere della prova dell’affectio: quando si ricorre a presunzioni e la necessità di dimostrare il legame

In generale la Cassazione ribadisce che è sempre la vittima a dover dimostrare l’esistenza del pregiudizio subito: ma è importante sottolineare che la dimostrazione può avvenire anche ricorrendo a “presunzioni semplici e massime di comune esperienza” per citare le Sezioni Unite, sentenza 26792/2008.

E’ orientamento unanime della Corte – scrive il giudice nell’atto – che l’esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è, per comune esperienza, connaturale all’essere umano. Naturalmente, trattandosi di una praesumptio hominis, sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite”.

Spetterà poi al giudice – prosegue nuovamente l’ordinanza – il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, dell’eventuale sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale in precedenza descritti”.

Appare chiaro che ogni caso vada analizzato a sé e che ogni famiglia abbia legami ed affettività diverse a seconda degli sviluppi durante il tempo: se da un lato però la prossimità parentale è nella maggior parte dei casi sinonimo di una forte connessione, dall’altra non si può aprioristicamente escludere che esistano intensi rapporti tra persone apparentemente lontane nel legame di parentela.

Rimangono fermi i princìpi – concludono sul tema gli Ermellini – che presiedono all’identificazione delle condizioni di apprezzabilità minima del danno, nel senso di una rigorosa dimostrazione della gravità e della serietà del pregiudizio e della sofferenza patita dal danneggiato, tanto sul piano morale-soggettivo, quanto su quello dinamico-relazionale”.

 

Il risarcimento va liquidato sulla base di un sistema a punti

Ultima ma doverosa precisazione – sempre in continuità con precedenti sentenze – riguarda il metodo con cui risarcire il danneggiato. Il Palazzaccio, riprendendo la sentenza n. 10579 del 2021, ribadisce che alla base della liquidazione debba esserci un sistema a punti coerente che esprima quantificazioni puntuali da usare sempre in situazioni simili o analoghe. Sia le Tabelle di Roma che quelle di Milano adoperano tale sistema, ma ciascuna con peculiarità non omogenee. Milano, ad esempio, non contempla (e ciò concerne il caso in essere) il danno del nipote per la perdita dello zio, alimentando potenziali disallineamenti sulle decisioni. Di contro la stessa nei suoi parametri per la personalizzazione del danno abbraccia circostanze di vita reale che risultano spesso fondanti per dimostrare l’affectio.

Ciò che emerge, quindi, è l’assenza di un metodo che possa fornire risultati coerenti ed omogenei. Appare chiara l’esigenza, sempre più costante, di una regolamentazione univoca che possa essere utilizzata definitivamente e con continuità e che elimini ogni qualsivoglia differenza nella valutazione di casi analoghi.

 

Principi non applicati e contraddizioni in appello: ricorso accolto e risarcimento per i nipoti

Compiuta questa ampia ma necessaria dissertazione giuridica, la Corte è ritornata sul caso in essere. Secondo il Giudice i principi sopra espressi non sarebbero stati applicati in appello, dove sarebbe stato “erroneamente ricondotto il danno al solo “stravolgimento della vita“, omettendo il richiamo alle necessarie e doverose presunzioni da cui avrebbe potuto trarre la prova dei danni morali subiti dagli odierni ricorrenti”.

Inoltre la Corte territoriale sarebbe incorsa in motivazione contraddittoria: “da un lato essa asserisce la mancanza di allegazione della “sofferenza patita” e dall’altro richiama, in un successivo passaggio, le note, in cui vi è proprio l’allegazione precedentemente richieste. Oltre a ciò il giudice d’appello sostiene che erano stati articolati capi di prova tesi ad evidenziare l’intensità del rapporto parentale e, dall’altro ancora, ha ritenuto non provato il legame affettivo sebbene i testi abbiano confermato le circostanze indicate nei capi, che erano stati ammessi sul presupposto della loro rilevanza”.

In estrema sintesi, si evince che la Cassazione sostiene che seppure la relazione familiare tra zio e nipoti non sia strettissima, è comunque sufficiente da far ritenere presuntivamente l’esistenza di un danno serio ed apprezzabile per i superstiti: il rapporto di parentela fa infatti presumere la sofferenza del familiare.

Ecco quindi che, conclude definitivamente la Cassazione, che il ricorso è accolto. Causa, pertanto, rinviata alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, per procedere ad un nuovo esame che faccia tesoro di quanto esplicitato in questa ordinanza.

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