Premorienza e perdita di chance: il risarcimento è “sovrapponibile”?

La Cassazione ha definito precisamente i confini per quanto concerne il risarcimento per la premorienza, ossia quando – in seguito ad un danno – la vita del soggetto non si è protratta nel tempo secondo una durata determinata, e per la perdita di chance, nello specifico caso inteso come il danno futuro che consiste nella perdita di possibilità di poter concretamente sopravvivere ulteriormente ad una ipotetica età.

In particolare il quesito che si poneva era se queste due tipologie di danno fossero “sovrapponibili” l’una con l’altra in tema di risarcimento. E la Suprema Corte in merito, con la sentenza n. 26851/23, pubblicata dalla III Sez. Civ. il 19 settembre 2023, ha ribadito come cardine il principio generale dell’impossibilità di addizionare la liquidazione per entrambi i danni, ad eccezione di situazioni in cui esista la seria, concreta ed apprezzabile possibilità – fondata su un errore medico precedente – che il paziente avrebbe effettivamente potuto vivere ancor più a lungo del tempo di vita determinato.

Errore medico e mancata diagnosi terapeutica

L’interessante sentenza prende le mosse da un caso di malasanità in cui vi era stato un errore di diagnosi di una patologia tumorale e una conseguente omissione di terapie, unito ad un intervento di quadrectomia poi rivelatosi non solo non risolutivo, ma anche causa di un aggravamento della malattia. Lo sbaglio veniva identificato nel 2010 ed era quindi risalente addirittura al 2007, anno in cui non era stata intrapresa un’adeguata terapia ormonale, iniziata soltanto proprio tre anni dopo, quando ormai il tumore si era evoluto al quarto stadio, mentre tre anni prima la malattia era ancora allo stadio 2B.

Secondo i congiunti della vittima, questa mancata diagnosi avrebbe determinato una riduzione delle probabilità di sopravvivenza di ben dieci anni, poiché la terapia ormonale avrebbe potuto – stando al consulente tecnico nominato in primo grado – ritardare la comparsa di recidive della malattia. A ciò il perito ha altresì aggiunto che sarebbe stata omessa la prescrizione di una terapia a base di Trastuzumab, che – unita a quella ormonale – avrebbe efficacemente e sensibilmente migliorato il tasso di sopravvivenza. Il Ct, sulla base del “più probabile che non”, stima che l’aggravamento avvenuto in seguito alle mancate cure avrebbe portato a postumi permanenti nella misura del 50% rispetto allo stato anteriore.

Tribunale e Corte d’appello si schierano con i familiari del danneggiato

Il Tribunale di Livorno, in merito, aveva accolto la domanda dei congiunti della vittima osservando in particolare che l’errore nella diagnosi fosse palese e dimostrato, ma soprattutto che oltre al danno differenziale va riconosciuto parimenti il danno da perdita di chance, da liquidare in via equitativa.

La Corte d’appello, allo stesso modo, aveva respinto il gravame dell’Asl ribadendo il peggioramento della qualità della vita, dovuta alle mancanze diagnostiche e terapeutiche, oltre che la perdita di chance, ovvero di danno da minore durata della vita oltre che da sua peggiore qualità. Si doveva procedere quindi con la personalizzazione del danno biologico in termini di sconvolgimento della propria esistenza, già compromessa dalla scoperta malattia, con perdita di fiducia circa la possibilità di recuperare nel tempo le condizioni pregresse.

Premorienza e perdita di chance al vaglio della Cassazione

Nel ricorso proposto in Cassazione dall’Asl, composto di ben otto motivi, quello che più interessa in questa sede è l’ultimo, nella quale la ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226 del codice civile: la Corte d’appello avrebbe errato nel “duplicare” i risarcimenti, cioè accordando sia il danno da perdita di chance sia quello da intervenuta premorienza che, inoltre, quello da invalidità biologica in specie permanente.

La Suprema Corte ha spiegato – si legge nella sentenza – che “il danno da perdita anticipata della vita va poi distinto da quello da perdita di chance di sopravvivenza, posto che, se la morte è intervenuta, come nel caso di specie, l’incertezza eventistica, che ne costituisce il fondamento logico prima ancora che giuridico, è stata smentita da quell’evento: in questo senso emerge, di regola, un’inammissibile duplicazione risarcitoria tra voci di danno, non risultando logicamente compatibili in via generale la congiunta attribuzione di un risarcimento da perdita anticipata della vita e da perdita di chance di sopravvivenza”.

La linea generale non prevede un risarcimento sovrapponibile, ma va valutato il caso specifico

Il Palazzaccio, dopo aver stabilito la linea generale dell’irrisarcibilità, spiega però che ogni situazione vada analizzata singolarmente. Innanzitutto le premesse fatte mostrano che il danno da premorienza va accertato secondo il criterio del “più probabile che non” e – per citare l’atto – “l’accertamento avrà ad oggetto un pregiudizio, non risarcibile per la vittima, ma solo per i suoi congiunti. L’evento di danno è rappresentato, pertanto, non dalla possibilità di vivere più a lungo, bensì dalla perdita anticipata della vita – perdita che pure si sarebbe, in tesi, comunque verificata, sia pur in epoca successiva, per la pregressa patologia”.

Per quanto concerne la perdita di chance, invece, va verificato – nel nesso di causa tra questa e la condotta dei sanitari – quando la possibilità perduta costituisce l’evento di danno. In particolare l’incertezza sull’eventuale e ulteriore segmento temporale di cui la vittima avrebbe potuto godere, ma sempre con basi solide e concrete, non mere ipotesi o speranze: stabilito un errore diagnostico e terapeutico, questi potrebbe legittimare un risarcimento, in via strettamente equitativa, sempre che – riprendendo le parole del Giudice – “sul piano eziologico sia stata raggiunta una soglia di certezza rispetto a quella concreta possibilità; perché la “seria, apprezzabile e concreta possibilità eventistica” conforma morfologicamente la struttura del bene tutelato: dovrà pertanto risultare causalmente certo che, alla condotta colpevole, sia conseguita la perdita della possibilità di un risultato migliore”.

Alcune specificazioni terminologiche

Prima di tirare le somme conclusive, il Palazzaccio ha affermato che – di regola – quando si ha una certezza circa l’errore medico, che ha provocato la morte anticipata del paziente, il decesso diviene “evento assorbente di qualsiasi considerazione sulla risarcibilità di chance future”.

Poi, in via chiarificatrice, ha definito una terminologia chiara ed univoca, prima di passare all’epilogo della vicenda, sempre dando per certo e appurato come una premessa l’errore medico:

  1.  “vivere in modo peggiore – spiega la Corte – sul piano dinamico-relazionale la propria malattia negli ultimi tempi della propria vita, rappresenta un danno biologico (differenziale);
  2.  trascorrere quegli ultimi tempi con la consapevolezza delle conseguenze sulla ridotta durata di vita costituisce un danno morale;
  3.  perdere la possibilità, seria apprezzabile e concreta, di vivere più a lungo è un danno da perdita di chance;
  4.  la perdita anticipata della vita per un tempo determinato in relazione al segmento di vita non vissuta è un danno risarcibile non per la vittima, ma per i suoi congiunti”.

Nessuna sovrapposizione dei risarcimenti in linea generale, ma la Corte apre alle eccezioni

Nelle sue conclusioni, prima di passare al caso da cui è partita la sentenza, la Cassazione ha ribadito che “non vi è spazio, in linea generale, per sovrapposizioni concettuali tra istituti speculari come perdita di chance e perdita anticipata della vita, salvo che si chiariscano e si accertino motivando rispetto alla concreta fattispecie le differenze come sinora ricostruite”.

Ecco perché, sintetizzano schematicamente gli Ermellini:

  1. nel caso di perdita anticipata della vita sarà risarcibile il danno biologico differenziale sulla base del criterio causale del “più probabile che non”: il risarcimento sarà riconosciuto con riferimento al tempo di vita effettivamente vissuto;
  2. il danno da perdita di chance di sopravvivenza sarà invece risarcito, equitativamente, volta che, vi sia certezza eziologica che la condotta colpevole abbia cagionato la perdita della possibilità di vivere più a lungo;
  3. il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l’accertamento si sia concluso nel senso dell’esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quando dalla possibilità di vivere più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile.

I casi ammessi dalla Cassazione di duplicazione dell’indennizzo, quindi, possono darsi nell’ipotesi in cui si ritenga che “oltre al tempo determinato di vita anticipatamente perduta, esista la seria concreta ed apprezzabile possibilità che, oltre quel tempo, il paziente avrebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo. In tal caso, sempre che e soltanto se tale possibilità non si risolva in una mera speranza, tale ulteriore e diversa voce di danno risulterà concretamente e limitatamente risarcibile, in via equitativa, al di là e a prescindere dai parametri relativi al danno biologico e a quello da premorienza”.

La conclusione sul caso

Tutta questa articolata esplicazione è servita al Giudice per fare completa luce sulla casistica, per poi giungere nello specifico all’episodio in essere. Nel suddetto, però, questa via eccezionale non viene applicata. Per il Collegio infatti le conclusioni precedentemente esposte della Corte d’appello sulla morte anticipata e al peggioramento della qualità della vita sono richiamate senza alcun confronto con i rilievi.

Non basta cioè affermare che la chemioterapia non avrebbe consentito “alcuna possibilità di guarigione“, perché sarebbe poi stato necessario verificare se tale scelta terapeutica avrebbe avuto o meno un’incidenza migliorativa al fine di raffrontare la maggiore probabilità positiva rispetto all’uso delle terapie mancate. Non essendoci seria, concreta e apprezzabile possibilità di vivere ancora più a lungo, ecco che la Suprema Corte ha respinto il duplice risarcimento.

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