Casella Pec piena? Colpa tua. La notifica è valida

Meglio “svuotare” regolarmente la Pec. Non è infatti una “scusante” sostenere che non si è potuto adempiere in tempo ad un atto o ad una determinata incombenza perché la propria casella di posta elettronica certificata era piena e non si è dunque riusciti a visualizzare prima un dato messaggio. La notifica, che per il mittente risulta regolarmente avvenuta, è valida.

A stabilirlo la Corte di Cassazione, sezione Lavoro Civile, con la sentenza n. 5646/21 del 2 marzo 2021 che ha posto fine a un lungo contenzioso nel quale era per l’appunto insorto questo quesito.

Ricorso giunto fuori termine per colpa della Pec “piena”

Il Tribunale di Varese, con decreto del 2016, aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento Car.Mec. Srl proposta da alcuni lavoratori dell’attività, che avevano avanzato domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento collettivo a loro intimato e di risarcimento del danno.

Gli ex dipendenti avevano quindi proposto ricorso per Cassazione, la quale tuttavia, con sentenza n. 12806 del 2018, lo aveva dichiarato inammissibile perché giunto fuori del termine stabilito per impugnare presso la Suprema corte il decreto del Tribunale, che è di 30 giorni ai sensi dell’art. 99 L.F.

Un ritardo dovuto al fatto, a quanto giustificato dal legale dei ricorrenti, che la sua casella di posta elettronica certificata era satura e che pertanto era venuto a conoscenza in ritardo del deposito del decreto contro il quale aveva poi proposito, ma tardivamente, ricorso. La Corte aveva valutato “se la comunicazione dell’avvenuto deposito del decreto, tramite P.e.c. all’indirizzo indicato, conclusosi

con messaggio di mancata comunicazione per risultare piena la predetta casella di posta elettronica, fosse da considerarsi parimenti effettuata ed efficace“. E ne aveva tratto “risposta affermativa in base al tenore dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 172\12, convertito in I. n. 221\12, e della giurisprudenza della stessa Cassazione”, ritenendo fondata l’eccezione sollevata dal Fallimento secondo cui “il deposito del decreto … venne comunicato agli attuali ricorrenti il 19.8.2016”, mentre il ricorso per Cassazione risultava “notificato solo in data 20 settembre 2016”, cioè 31 giorni dopo.

 

Il nuovo ricorso per revocazione

I ricorrenti hanno quindi proposto un nuovo ricorso per la revocazione di tale sentenza, ipotesi che sussiste laddove questa sia l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. E il loro avvocato ha denunciato la “erronea presupposizione di fatto obiettivamente inesistente”, in quanto “in data 19 agosto 2016 non ha avuto luogo alcuna notifica/comunicazione a mezzo deposito in cancelleria dei decreti di rigetto del Tribunale di Varese“. A loro dire il Collegio sarebbe incorso in una “svista percettiva”, non avvedendosi che la comunicazione del decreto impugnato “non aveva avuto luogo a mezzo deposito in data 19 agosto 2016, ma a mezzo PEC in data 22/23 agosto 2016, con conseguente tempestività” del ricorso per cassazione.

La suddetta comunicazione di cancelleria – proseguiva il legale dei ricorrenti – attesta, difatti, incontrovertibilmente che il cancelliere del Tribunale di Varese non aveva considerato imputabile allo scrivente difensore il mancato buon fine della comunicazione a mezzo PEC del 19 agosto 2016”: non aveva, di conseguenza, proceduto alla notifica a mezzo deposito in cancelleria degli stessi, ma aveva al contrario provveduto a delle nuove notifiche a mezzo PEC andate appunto a buon fine il 22/23 agosto 2016.

Il collegio invece, sempre secondo la tesi dei ricorrenti, aveva dato per assodato “l’erroneo dato di fatto che venerdì 19 agosto 2016, dopo la vana notifica a mezzo PEC, il cancelliere avesse provveduto, ai sensi dell’art. 16 del DL 179/12, all’immediata e contestuale comunicazione del medesimo decreto mediante deposito in cancelleria, anziché alla ripetizione della comunicazione a mezzo PEC il giorno lavorativo immediatamente successivo, come invece avvenuto“.

 

La normativa sulle comunicazioni o notificazioni

Con l’occasione gli Ermellini effettuano una ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale in ordine alle comunicazioni o notificazioni effettuate dalla cancelleria tramite posta elettronica certificata, premettendo che, ai sensi dell’art. 99, u.c., L. fall. nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, “il decreto che decide sull’opposizione allo stato passivo è comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione“. Tale comunicazione effettuata dal cancelliere mediante posta elettronica certificata, ai sensi dell’art. 16, comma 4, del di. n. 179 del 2012, conv., con modif. dalla I. n. 221 del 2012, “è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione in cassazione”.

Tuttavia, prosegue la Suprema Corte, ai sensi del comma sesto dell’art. 16, “le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto a istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario“. Tra le quali la giurisprudenza della Cassazione annovera anche e proprio la “mancata comunicazione per saturazione della casella di posta elettronica“, avendo esplicitamente affermato che “il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della capienza della casella di posta elettronica del destinatario, legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179/ 2012 cit.”.

I giudici del Palazzaccio sottolineano poi come, nonostante la mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario sia comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione stessa, “in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito. Infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 4, del D.M. n. 44 del 2011, nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata (…) viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori“.

 

Notifica “valida” anche se la casella Pec è satura

Fatte queste debite premesse, la Suprema Corte non accoglie la revocazione, non fosse altro perché l’errore revocatorio lamentato era stato individuato in un “fatto obiettivamente inesistente” e cioè che “il 19 agosto 2016 non aveva avuto luogo alcuna notifica/comunicazione a mezzo deposito in cancelleria dei decreti di rigetto del Tribunale di Varese”. In realtà, fanno notare i giudici del Palazzaccio, la sentenza impugnata è radicata tutta sul rilievo che “la comunicazione dell’avvenuto deposito del decreto”, incontestabilmente pubblicato il 19.8.2016, realizzata tramite p.e.c. all’indirizzo del difensore e “conclusosi con messaggio di mancata Comunicazione per risultare piena la predetta casella di posta elettronica” era “da considerare parimenti effettuata ed efficace“.

Perché, ripetono gli Ermellini, “la comunicazione deve aversi per notificata allorquando la mancata consegna dipenda da cause imputabili al destinatario come nel caso in cui per mancata diligenza di questi la casella risulti piena per prolungata (e dunque colpevole) assenza di lettura della posta elettronica“.

E concludono: “La notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi”.

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