Le responsabilità e i doveri del radiologo

Il radiologo, al pari degli altri medici, è tenuto alla diligenza specifica di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c., e pertanto non può limitarsi ad una “mera e formale lettura degli esiti dell’esame diagnostico effettuato”: al contrario, se queste risultanze lo suggeriscono (dunque, dove si tratti di cosiddetti esiti aspecicifi del quadro radiologico), deve attivarsi per un approfondimento della situazione e anche prospettare al paziente la necessità o l’esigenza di sottoporsi a ulteriori e più adeguati esami.

A richiamare alle proprie responsabilità questa fondamentale professione sanitaria la Cassazione, con la sentenza n. 37728/22 depositata il 23 dicembre 2022.

 

Una paziente cita una radiologa e un senologo per i danni da ritardata diagnosi tumorale

La Suprema Corte di è occupata di una causa intentata da una paziente nei confronti, appunto, di una radiologa e di un senologo per essere risarcita dei danni patiti in conseguenza del ritardo diagnostico di una neoplasia al seno destro che sarebbero stati causati alle loro condotte. Il tribunale di Bologna, con sentenza del 2011, aveva accolto la domanda condannando in solido i due sanitari a risarcire alla donna la somma di 77.740 euro, oltre accessori, a titolo di danno non patrimoniale e  di euro 2.900 euro, oltre accessori, a titolo di danno patrimoniale.

La Corte d’Appello di Bologna, tuttavia, presso la quale la sentenza era stata appellata da entrambi i medici, con decisione del 2019 aveva accolto (solo) il gravame della radiologa, respingendo, quindi, la domanda risarcitoria proposta nei suoi confronti . In buona sostanza, la Corte territoriale aveva ritenuto che sussistesse, come accertato dal Tribunale, la responsabilità del senologo, per aver omesso di sottoporre la paziente, dopo la prima visita risalente all’11 luglio 1997, ad ulteriori approfondimenti diagnostici nonostante la presenza di un addensamento ghiandolare, così come evidenziato dal referto ecografico redatto dalla radiologa il 23 giugno precedente: lo specialista si era infatti limitato a suggerire genericamente periodici controlli e, senza neppure far cenno all’addensamento ghiandolare emerso nell’ecografia, aveva espressamente escluso nel referto della visita la presenza di alterazioni morfo strutturali degne di nota a carico di entrambe le mammelle.

Secondo i giudici, invece, era ragionevole ritenere che qualche alterazione morfo strutturale fosse presente ed apprezzabile con un controllo più accurato già all’epoca della prima visita, così da consentire di rilevare l’alterazione e prescrivere esame citologico con ago aspirato o quanto meno approfondimenti diagnostici quali ad esempio una mammografia. La stessa circostanza che, al momento della prima visita, la paziente avesse già assunto da circa quindici giorni la terapia antiflogistica consigliata dalla radiologa avrebbe dovuto, a maggior ragione, indurre il senologo, informato della circostanza, a prescrivere esami volti ad accertare natura ed entità del persistente addensamento ghiandolare.

Era, quindi evidente, secondo la Corte d’Appello, anche alla luce del referto della visita, la totale, e colpevole sottovalutazione della presenza di un addensamento ghiandolare riscontrato all’ecografia e già trattato con terapia antiflogistica, avendo il senologo “licenziato la paziente senza un preciso programma teso a monitorare l’andamento dell’addensamento ghiandolare e senza la precisa indicazione di un arco temporale entro cui realizzarlo” per citare la sentenza. In conclusione, era pertanto da riconoscere alla paziente, quale conseguenza di un ritardo diagnostico di quasi undici mesi della patologia neoplastica, il “maggior danno” all’integrità psicofisica, individuato dalla consulenza tecnica d’ufficio nell’inevitabile accrescimento del tumore ed evoluzione della malattia sino alla metastatizzazione ai linfonodi ascellari, con conseguente linfedema dell’arto superiore destro ed episodi linfangitici ricorrenti, nonché nello scadimento della qualità di vita e nel maggior disagio psicologico provocato dalla severità della prognosi e dalla consapevolezza della ritardata diagnosi.

Per i giudici di seconde cure, invece, andava accolto l’appello della radiologa la quale, secondo la Corte, aveva assolto con prudenza, diligenza e perizia la prestazione connessa al proprio ruolo. A giudizio della Corte d‘Appello felsinea, la sua responsabilità era stata stabilita dal Tribunale senza che risultassero precisati i profili di negligenza ed imperizia nella sua condotta in relazione allo “specifico ambito delle attribuzioni e competenze connesse alla sua qualità professionale di medico ecografista, tenuto alla corretta e diligente esecuzione dell’esame ecografico e alla corretta interpretazione e refertazione delle immagini e non già alla prescrizione di ulteriori esami e terapie” per citare la sentenza, che aveva anche richiamato un pronunciamento della Cassazione, n. 10158/2028.

 

Confermata la responsabilità del senologo e la corretta condotta della radiologa

Tale sentenza è stata impugnata sia dalla paziente sia dal senologo per Cassazione, che tuttavia ha rigettato entrambi i ricorsi, sia quello del medico, confermandone la responsabilità, sia quella della danneggiata che invece sosteneva sussistere profili di colpa anche in capo alla radiologa. Ciò che qui preme è proprio la posizione di quest’ultima. Anche la Suprema Corte conclude per una condotta da parte sua esente da censure, ma gli Ermellini ci tengono a correggere la “motivazione in diritto” della sentenza impugnata, per quanto il suo dispositivo, precisano i giudici del Palazzaccio, fosse comunque conforme a diritto. Come detto, infatti, la Corte territoriale aveva richiamato a sostegno della decisione un precedente della Cassazione, da cui aveva ritenuto di trarre l’asserto per cui il “medico ecografista è tenuto alla corretta e diligente esecuzione dell’esame ecografico e alla corretta interpretazione refertazione dell’immagine e non già alla prescrizione di ulteriori esami e terapie” .

I doveri del radiologo

In realtà, spiega la Suprema Corte, come peraltro già rilevato da Cass. n. 4652/2021, il precedente giurisprudenziale sopra citato “è da intendere, in ragione della fattispecie materiale allora oggetto di cognizione, nel senso di non voler esonerare il radiologo, in termini assoluti, dal consigliare ulteriori esami ed approfondimenti al paziente, avendo, invece, evidenziato che in quello specifico caso i medici coinvolti si erano attenuti alle linee guida e in base ad esse avevano prescritto controlli ravvicinati, senza, quindi, poter essere destinatari di alcun addebito colposo”.

Il quale ha anche il dovere di consigliare al paziente ulteriori approfondimenti se necessario

E’, infatti, obbligo che conforma la prestazione sanitaria in genere, in base alla diligenza specifica di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c., richiesta all’homo eiusdem generis et condicionis, quello del medico di rendere una diagnosi sulla base degli esami strumentali effettuati e, nel caso in cui tali esami non consentano, senza sua colpa, di avere ragionevoli certezze sull’effettiva condizione del paziente, di attivarsi per gli opportuni approfondimenti o indirizzare il paziente presso centri di specializzazione adeguati allo scopo” ribadisce con forza la Suprema Corte, che con l’occasione enuncia anche un principio di diritto ad hoc.

 

Il principio di diritto

“Il medico radiologo, essendo, al pari degli altri sanitari, tenuto alla diligenza specifica di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c., non può limitarsi ad una mera e formale lettura degli esiti dell’esame diagnostico effettuato, ma, allorché tali esiti lo suggeriscano (e dunque ove, segnatamente, si tratti di esiti c.d. aspecifici del quadro radiologico), è tenuto ad attivarsi per un approfondimento della situazione, dovendo, quindi, prospettare al paziente anche la necessità o l’esigenza di far fronte ad ulteriori e più adeguati esami”.

Per avendo la Corte territoriale affermato un “principio distonico rispetto a quello appena enunciato”, secondo gli Ermellini, tuttavia, essa ha accertato correttamente i fatti, avendo escluso che la dott.ssa avesse erroneamente eseguito l’ecografia ovvero interpretato e refertato malamente il risultato della stessa (e, quindi, escluso un errore diagnostico in base all’esame allora effettuato) e, per altro verso, aveva anche evidenziato come l’addensamento ghiandolare, “in prima battuta”, era da ricondursi “ad un fenomeno flogistico”, per il quale la stessa ecografista aveva prescritto una congruente terapia antiflogistica e anche suggerito l’effettuazione di un “controllo”, dopo la terapia medica.

“In armonia con l’enunciato principio di diritto e in ragione dei fatti accertati – concludono gli Ermellini – non può, dunque, nella specie ravvisarsi un inadempimento del medico ecografista per violazione del dovere di diligenza specifica, giacché il predetto sanitario, in coerenza con il risultato dell’esame ecografico correttamente eseguito e refertato, ha prescritto alla paziente una terapia coerente con il quadro degli esiti dell’esame effettuato (assunzione di farmaco antinfiammatorio) e, quindi, ha prospettato alla paziente stessa un ulteriore controllo successivamente all’azione della terapia prescritta, non limitandosi, quindi, ad una mera lettura delle immagini ecografiche, ma ponendo la diagnosi relativa con la terapia del caso, nonché indicando la necessità di controllo dopo l’effettuazione della terapia stessa e in ragione dei risultati da essa conseguiti”. I danni patiti dalla paziente, quindi, sono da attribuirsi esclusivamente alla condotta negligente del senologo.

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