Il risarcimento del danno da perdita di chance

Il danno da perdita di chance va riconosciuto non sulla base dall’accertamento dell’acquisizione del “bene” ma della possibilità di acquisirlo e sono sufficienti anche soltanto alcuni presupposti per raggiungere il risultato, professionale nella fattispecie, che ci era prefisso prima di subire il pregiudizio, nello specifico un grave sinistro stradale, viceversa risulterebbe “svuotato” l’istituto giurisprudenziale riparatorio della “chance”.

E’ una ordinanza di rara pregnanza in materia quella, la n. 5990/23 depositata il 28 febbraio 2023, con cui la terza sezione civile della Cassazione ha accolto il ricorso di una persona coinvolta in un brutto incidente e rimasta gravemente menomata alla quale i giudici di merito non avevano per l’appunto riconosciuto il danno da perdita della capacità lavorativa specifica e di chance.

La causa risarcitoria di un automobilista rimasto menomato dopo un grave incidente

Un giovane era rimasto coinvolto con la sua auto in un grave incidente stradale causato da un altro automobilista con una vettura peraltro risultata non assicurata e aveva riportato lesioni pesanti che gli avevano residuato un elevato grado di invalidità permanente. Il danneggiato e i suoi genitori, che avevano dovuto prendersi cura del figlio, avevano quindi citato in causa avanti il Tribunale di Bari per essere risarciti di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti la controparte e la compagnia Allianz quale assicurazione designata all’epoca del sinistro per la regione Puglia dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada che interviene (o meglio dovrebbe intervenire visto le procedure farraginose) nel caso di incidenti causati da veicoli non assicurati o non identificati: anche nello specifico, infatti, il risarcimento riconosciuto era risultato inadeguato. Il giudice aveva condannato l’automobilista che aveva causato lo schianto e la compagnia a liquidare per il danno non patrimoniale al giovane, oltre all’acconto giù versato di 244mila euro, ulteriori 51mila euro, e a ciascuno dei genitori diecimila euro, oltre accessori. 

In primo e secondo grado i giudici non gli riconoscono il danno da partita di chance

Il danneggiato e i suoi familiari avevano tuttavia appellato la sentenza lamentando in buona sostanza il mancato riconoscimento del danno patrimoniale da parte del tribunale con particolare riferimento a quello da riduzione della capacità lavorativa e/o da “perdita di chancenon coperto dal risarcimento del danno biologico da perdita di capacità lavorativa generica. Il giovane infatti puntava ad entrare nell’Esercito o nella Polizia penitenziaria, ma secondo il giudice, data la gravità delle lesioni permanenti che gli avevano residuato un’invalidità del trenta per cento, egli non avrebbe potuto arruolarsi né aspirare a svolgere tali attività.

La Corte d’Appello di Bari, tuttavia, con decisione del 2020, aveva accolto l’appello relativo al danno patrimoniale solo limitatamente alle spese per la rottamazione della vettura, quantificate in 3.500 oltre accessori, rigettando la domanda relativa alla perdita di chance e sostenendo, tra le varie regioni, che non potesse venire dato per certo che il danneggiato avrebbe superato i concorsi per entrare appunto nell’Esercito o nella Polizia penitenziaria, nonostante egli avesse comprovato di avere tutte le “carte in regola” per riuscire nel suo obiettivo professionale e, dunque, la sua legittima aspettativa di carriera, avendo già prestato servizio nell’esercito per quattro anni di ferma volontaria,  acquistando quindi l’attitudine e anche la concreta competenza per tale carriera, per la quale prima del sinistro aveva la necessaria idoneità fisica e formativa.

 

Il danneggiato ricorre per Cassazione che gli dà ragione piena

Di qui la dunque decisione del danneggiato e dei suoi familiari di ricorrere anche per Cassazione, che ha dato loro piena ragione rilevando tutte le contraddizioni della sentenza impugnata. “Dal primo motivo d’appello – rileva ad esempio la Suprema Corte – era agevole comprendere che la critica mossa alla sentenza di primo grado riguardava precipuamente il fatto sotto il profilo dell’esistenza di un danno da perdita di chance lavorativa attinente a due concorsi pubblici di genere militare, per denunciare che il Tribunale aveva in sostanza considerato del tutto irrilevanti i plurimi elementi forniti, che avrebbero dimostrato la seria possibilità di arruolamento dell’attuale ricorrente se non vi fosse stato il sinistro, che lo aveva obbligato a “ripiegare” al centralino Inps”. E invece, proseguono i giudici del Palazzaccio –  la corte territoriale avvia il suo esame con un argomento con ciò non pertinente, rilevando che il danno per perdita di chances non può intendersi alla stregua di un “danno futuro”, ma è da qualificarsi “danno emergente”, costituito dalla lesione della possibilità di conseguire un, risultato favorevole, da valutare adeguatamente, in termini di probabilità statistica, come reale possibilità di raggiungere il vantaggio sperato”, bastando una probabilità di successo concreta e ragionevole, non necessariamente superiore al 50%”.

Non si comprende – censurano le argomentazioni della Corte d’appello gli Ermellini-, in che cosa il motivo d’appello si fosse allontanato da tale paradigma di puro diritto, avendo invece argomentato in modo inequivoco sul piano fattuale nel senso che, appunto, in termini di ragionevole probabilità, l’attuale ricorrente avrebbe proprio perduto la reale possibilità di raggiungere il vantaggio sperato”.

Le contraddizioni e gli errori delle sentenze di merito

Secondo la Cassazione, la motivazione addotta di assoluto diniego del risarcimento del danno patrimoniale per riduzione della capacità lavorativa specifica è “apparente, in quanto viene intessuta con argomenti non pertinenti e profondamente illogici, come quelli che escludono in radice la sussistenza di ogni chance per chi partecipi a un concorso – e la escludono subito dopo avere giustamente riconosciuto che la probabilità di successo non occorre sia superiore al 50% -, definiscono irragionevole la possibilità di una vittoria perché i posti messi a concorso sarebbero pochi, e qualificano poi confacente il ruolo di centralinista per chi, prima del sinistro (di cui peraltro egli non aveva avuto la minima responsabilità), aveva – come usualmente hanno le persone giovani e quindi all’inizio della loro attività – i propri progetti lavorativi e le proprie preferenze lavorative, per nulla affini al ruolo di centralinista ma già messi alla prova con quattro anni di fermo volontario nell’Esercito”.

La necessità di accertare il danno patrimoniale per riduzione della capacità lavorativa e correlativa perdita di chances non può essere espletata mediante argomenti di tal genere – tuona, è proprio il caso di dirlo, la Suprema Corte -, i quali oggettivamente risultano diretti più a cercare ragioni per nulla concedere in termini risarcitori che a cercare di accertare che cosa in realtà è successo alla persona danneggiata oltre al danno biologico”: non a caso, infatti, fanno notare gli Ermellini, la Corte territoriale conclude il diniego del risarcimento patrimoniale “schierando la personalizzazione del danno non patrimoniale, così entrando in una irragionevole commistione che attesta ulteriormente l’assenza di una motivazione tanto specifica quanto logica relativa al danno patrimoniale, e quindi, a monte, l’assenza di un accertamento corrispondente all’insegnamento di questa Corte”.

 

Va accertata non la (sicura) acquisizione del bene ma la possibilità di acquisirlo

Ed è qui che i giudici del Palazzaccio ricordano il consolidato insegnamento secondo il quale “il soggetto che intenda ottenere il risarcimento del danno da perdita di chances, “che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non costituisce una mera aspettativa di fatto bensì un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, ha l’onere di provare, anche solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto anche solo di alcuni dei presupposti per raggiungere il risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile si ponga come conseguenza immediata e diretta”. La Corte d’Appello di Bari, attraverso la sua “illogica e assertiva motivazione”, non ha invece mostrato di verificare “la sussistenza o meno di alcuni dei presupposti in termini di possibilità – e non di possibilità determinata sotto il profilo di un calcolo astratto -, bensì ha mirato ad affermare (con argomenti non logicamente adeguati) l’impossibilità del danneggiato di vincere i due specifici concorsi anche qualora non avesse subito il sinistro, tra l’altro focalizzando le proprie argomentazioni solo sul concorso di polizia penitenziaria e così nulla spendendo sugli evidenti elementi positivi attinenti al concorso dell’Esercito”, quali come si è detto la prestazione pregressa “senza alcun demerito” e la completa idoneità fisica certificata il 24 settembre 2009, ossia una ventina di giorni prima del sinistro. Sul concorso nell’Esercito la Corte territoriale, si era limitata a rilevare che non sarebbe stato “trasformabile” in via automatica in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, rilievo anche questo “privo di ogni pertinenza, dato che si trattava di un concorso per un fermo quadriennale, come la stessa corte riconosce”.

Questa Suprema Corte – conclude con forza la Cassazione – ha riconosciuto ormai da tempo il diritto al risarcimento da perdita di possibilità positiva (c.d. chance), possibilità che rimane come oggetto di rilievo, non potendo confondersi con l’ottenimento del bene in relazione alla quale la possibilità sussiste; e proprio per questo non dirime la misura della percentuale della possibilità, né tantomeno occorre dimostrare che la chance investa ogni presupposto dell’ottenimento del bene. La giurisprudenza, infatti, si è adeguata alla posizione probatoria che grava il danneggiato, evidentemente non delle più agevoli in quanto si riferisce, come oggetto della perdita, ad un bene mai acquisito e mai più acquisibile. Purtuttavia, non potendosi certo trasformare l’ormai impossibile ottenimento del bene in una fortunata deminutio dell’obbligo risarcitorio del danneggiante, l’accertamento è stato collocato non sulla prova stricto sensu del danno, bensì sulla perduta eventualità positiva, resa giuridicamente rilevante come una sorta di fictio di accertamento non dell’acquisizione, bensì, appunto, della possibilità di acquisizione del bene, da commisurare nel suo rilievo al caso specifico, sulla base di un concreto raffronto della situazione in cui si trovava il danneggiato prima del sinistro rispetto a quella sopravvenuta per il sinistro stesso, così da accertare la sussistenza o meno anche soltanto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e da discostarsi pertanto da un automatismo di diniego che, in realtà, come è emerso dalla radicalmente irragionevole motivazione qui presente, “svuoterebbe” l’istituto giurisprudenziale, riparatorio più che risarcitorio, della chance”.

La sentenza impugnata è stata pertanto decisamente cassata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, che dovrà fare “ammenda”

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