Rapporto tra processo penale e civile per incidente stradale

Ci si può costituire (anche) parte civile in un procedimento penale per un incidente stradale, nello specifico per omicidio (all’epoca ancora) colposo, dopo aver già promosso una causa civile per il risarcimento del danno?

E’ una scelta legittima ma chi la compie deve tenere conto del fatto che ciò comporta l’estinzione per intervenuta rinuncia del giudizio civile. Lo ha chiarito la Cassazione, con l’interessante ordinanza n. 6602/23 depositata il 6 marzo 2023.

 

I genitori e il fratello di un ragazzo vittima di incidente citano un automobilista e l’assicurazione

I genitori e il fratello di un ragazzo di appena 16 anni vittima di un tragico incidente occorsogli nel 2004 a Vallefoglia, in provincia di Pesaro e Urbino, mentre procedeva con il suo scooter, avevano citato in giudizio avanti il Tribunale di Pesaro l’automobilista coinvolto nel sinistro e la compagnia di assicurazione della vettura perché fosse accertata e dichiarata la responsabilità del conducente dell’auto nella causazione del fatto, con relativa condanna al risarcimento dei danni.

La causa era stata quindi istruita mediante consulenza tecnica medico legale e cinematica, nonché attraverso l’acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e, in particolare, della perizia acquisita nel procedimento penale svoltasi davanti al Tribunale di Urbino in capo allo stesso automobilista.

Il giudice civile dichiara estinto il giudizio, essendosi i genitori costituiti parte civile nel penale

In sede di precisazione delle conclusioni, tuttavia, la compagnia assicurativa aveva eccepito l’intervenuta rinuncia al giudizio civile da parte dei genitori della vittima, per essersi costituiti parte civile nel processo penale successivamente alla proposizione del giudizio civile. E il Tribunale, con sentenza del 2012, aveva dato ragione all’assicurazione, dichiarando estinto il giudizio tra questa e il padre e la madre del minore in relazione alla richiesta di risarcimento del danno morale ex art. 75 c.p.p., demandando al giudice penale la liquidazione delle spese e, riconosciuta la corresponsabilità dell’automobilista nella misura del 40 per cento nella causazione del sinistro, aveva condannato quest’ultimo con la sua assicurazione al risarcimento dei danni conseguenti.

La sentenza era stata quindi appellata dai congiunti della vittima, i quali sostenevano che la costituzione di parte civile nel procedimento penale rappresentava non una rinuncia, ma la volontà di perseguire la verità dell’accaduto e rilevavano che la causa del sinistro, emersa dalle perizie espletate, sarebbe stata l’elevata velocità di marcia della auto, ma la Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 2019, aveva respinto l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado.

I familiari della vittima hanno quindi proposto ricorso per Cassazione con due motivi di doglianza. Con il primo hanno censurato la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., nonché degli artt. 141 e 145 del Codice della Strada, nella parte in cui la Corte territoriale aveva sposato in pieno la ricostruzione adottata dal giudice di primo grado, secondo il quale la prevalenza di responsabilità da parte del loro congiunto nella causazione del sinistro era da rinvenire nel fatto che questi aveva omesso di dare la precedenza.

I ricorrenti sostenevano che il dictum del collegio di appello contrastava con quanto prescritto dall’art. 141 CdS, che pone in capo al conducente di una vettura obblighi stringenti e non contempla alcuna mitigazione di responsabilità per l’ipotesi in cui la velocità tenuta dal guidatore, in corrispondenza di curve o di intersezioni, sia superiore a quella indicata nella segnaletica, come nel caso di specie. Erroneamente dunque, secondo la loro tesi, entrambi i giudici di merito avevano imputato una maggiore gravità alla condotta della vittima per il solo fatto che questi non aveva rispettato lo stop, laddove invece, alla luce del disposto di cui all’art. 2054 c.c. e dell’art. 145 C.d.S., avrebbero dovuto quanto meno attribuire ad entrambi i soggetti coinvolti nel sinistro una percentuale del cinquanta per cento di responsabilità ciascuno, non essendo stata data dall’automobilista la prova contraria ed essendo avvenuto il sinistro in prossimità di un’intersezione.

Ma questo motivo di doglianza è inammissibile secondo la Cassazione, che ricorda per l’ennesima volta come, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, “l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 cod. civ.”.

Secondo la Suprema corte, i ricorrenti “non censurano in realtà la violazione o falsa applicazione di alcuna norma di diritto, ma criticano la ricostruzione in punto di fatto delle rispettive responsabilità dei due conducenti nella causazione del sinistro, come operata in maniera concorde da entrambi i giudici di merito e come insindacabile da parte di questa Corte poiché sorretta da logica e congruente motivazione, alla quale i ricorrenti stessi si limitano a contrapporre, inammissibilmente, altra e diversa versione in fatto dell’accaduto”.

Quello che però preme di più è il secondo motivo di ricorso nel quale i genitori del ragazzo denunciano la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 75 c.p.p. nella parte in cui la Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado, aveva dichiarato intervenuta la rinuncia dei genitori della vittima all’azione civile, per essersi gli stessi costituiti parte civile nel procedimento penale a carico del conducente dell’auto.

Secondo i ricorrenti, l’art. 75 c.p.p., avendo natura derogatoria, dovrebbe essere interpretato restrittivamente, ragion per cui tra i due giudizi vi dovrebbe essere non soltanto identità di oggetto, ma anche di soggetto, e al riguardo essi hanno citato la sentenza n. 13661 delle Sezioni Unite laddove si rilevava che, per citare il testo, “estendere l’applicazione di una ipotesi derogatoria ad un caso in cui tutte le parti del giudizio civile non coincidano con tutte quelle del processo penale, sacrificherebbe in maniera ingiustificata l’interesse dei soggetti coinvolti alla rapida definizione della propria posizione, in aperta collisione con l’esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo”.  Con la conseguenza che, poiché nel caso di specie non vi era stata coincidenza tra i soggetti costituiti parti civile nel processo penale (i soli genitori della vittima) e coloro che avevano proposto il giudizio civile (oltre ai genitori, anche il fratello della vittima), erroneamente era stata ritenuta nella specie una rinuncia per fatti concludenti.

Ma gli Ermellini hanno rigettato anche questo motivo di ricorso come “inammissibile”, rilevando in primis come i ricorrenti avessero omesso di considerare che la pronuncia citata a sostegno della loro tesi riguardava non l’ipotesi dell’estinzione del processo civile, regolata dall’art. 75 primo comma, c.p.p., ma quella della sospensione necessaria del processo civile (regolata dall’art. 75 terzo comma c.p.p.): “la prima ipotesi – spiegano i giudici del Palazzaccio – ricorre quando, come nel caso di specie, il danneggiato, dopo aver promosso l’azione risarcitoria davanti al giudice civile, si costituisce parte civile nel processo penale; mentre la seconda ipotesi ricorre quando il danneggiato, dopo essersi costituito parte civile, promuove l’azione risarcitoria davanti al giudice civile”.

 

Il trasferimento dell’azione civile nel processo penale determina una “vicenda estintiva” della prima

La Cassazione a questo punto adduce l’ordinanza n. 8353/2013 delle stesse Sezioni Unite nella quale si precisa che “il trasferimento dell’azione civile nel processo penale, regolato dall’art. 75 cod. proc. pen., determina una vicenda estintiva del processo civile riconducibile al fenomeno della litispendenza, e non a quello disciplinato dall’art. 306 cod. proc. civ., in quanto previsto al fine di evitare contrasti di giudicati”.

I ricorrenti, come si è visto, sostenevano che non vi sarebbe coincidenza soggettiva tra l’azione risarcitoria, dagli stessi proposta in sede civile, e l’azione civile trasferita in sede penale sotto un duplice profilo: da un lato, perché in sede civile era stata proposta domanda ex art. 144 Codice delle assicurazioni anche nei confronti della compagnia assicurativa, che invece era rimasta estranea al processo penale dopo che l’azione civile era stata ivi trasferita; dall’altro, perché in sede civile era presente anche il fratello della vittima, anch’esso rimasto estraneo al processo penale.

Ma, spiega la Cassazione, il fratello “è portatore di un diritto al risarcimento autonomo rispetto a quello dei genitori, con la conseguenza che la sua presenza ab origine nel giudizio civile non inficia la validità della rinuncia ex lege agli atti del giudizio (che l’art. 75 primo comma c.p.p. fa dipendere dalla scelta del padre e della madre della vittima di costituirsi parte civile nel processo penale, così trasferendo in quest’ultimo l’esercizio del loro diritto risarcitorio, anch’esso autonomo)”. 

 

L’azione diretta verso l’assicurazione non comporta anche l’ampliamento del giudizio civile

Quanto poi alla presenza della compagnia assicuratrice, la Cassazione fa notare come i ricorrenti non abbiano considerato che, nei suoi confronti, “fu promossa soltanto l’azione diretta, prevista dall’art. 144 del Codice della strada, con la conseguenza che l’oggetto del processo civile, nonostante l’evocazione in giudizio della compagnia, nei cui confronti il danneggiato non è portatore di alcun diritto soggettivo, era soltanto il diritto risarcitorio dei genitori del giovane deceduto.

Perciò, va a concludere la Cassazione, nel caso di specie “vi è piena coincidenza oggettiva e soggettiva tra l’oggetto del giudizio civile, originariamente instaurato, e l’oggetto del giudizio civile successivamente trasferito in sede penale; ragion per cui trova piena applicazione il principio di diritto sopra richiamato”.

Principio che con l’occasione la Cassazione riafferma e precisa meglio. “L’azione diretta, prevista dall’art. 144 primo comma C.d.A,. comporta una forma di legittimazione straordinaria (ad agire nei confronti della compagnia assicuratrice), che il legislatore prevede a favore del danneggiato da circolazione stradale al fine di rafforzare la tutela giuridica del suo diritto al risarcimento del danno, ma non comporta l’ampliamento dell’oggetto del giudizio civile instaurato dal danneggiato. Detto oggetto rimane circoscritto al diritto del danneggiato al risarcimento del danno, producendo il contratto di assicurazione effetti soltanto tra l’assicuratore e l’assicurato/danneggiante e prescindendo l’azione diretta, per sua natura, dall’esistenza di un diritto sostanziale del danneggiato nei confronti della compagnia”.

Il ricorso è stato pertanto rigettato.

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