Il risarcimento del danno da perdita di capacità lavorativa

Con la rilevante ordinanza n. 1607/24 depositata il 16 gennaio 2024, la III Sez. Civ. della Corte di Cassazione ha affermato che il principio (essenziale nel sistema della responsabilità civile) di integralità del risarcimento, enucleabile dall’art. 1223 del Codice Civile e applicabile in ambito extracontrattuale mediante il rinvio contenuto nell’art. 2056 c.c., impone di ristorare la parte danneggiata da tutte le conseguenze pregiudizievoli ad essa derivanti dall’illecito, indipendentemente dal fatto che si siano verificate immediatamente, o che spiegheranno la loro forza lesiva con certezza (processuale) in futuro.

Nello specifico, la Suprema Corte ha stabilito che il danno futuro dovuto alla riduzione della capacità lavorativa a seguito di un incidente stradale va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni perdute – nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici – in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate. Pertanto, deve comprendere anche gli accessori della retribuzione persa con il demansionamento subito a causa di un sinistro.

La causa di un macchinista delle Ferrovie per essere risarcito dei danni di un incidente stradale

La vicenda. Un uomo aveva citato in giudizio una srl e la compagnia di assicurazioni per sentirle condannare al risarcimento del danno patrimoniale da perdita di capacità lavorativa che egli aveva patito a seguito del sinistro stradale in cui era stato coinvolto a causa della condotta illecita tenuta dal conducente di un autocarro di proprietà, per l’appunto, della società.

Il danneggiato chiede anche il ristoro delle conseguenze del demansionamento per le lesioni

A fondamento della domanda risarcitoria, il danneggiato deduceva che le conseguenze derivanti dal sinistro (inabilità temporanea e incapacità lavorativa specifica) erano state tali da determinare un demansionamento. Prima dell’incidente l’uomo faceva il macchinista per le Ferrovie dello Stato, poi era stato assegnato alle mansioni di impiegato tecnico-amministrativo con conseguente rideterminazione, in peggio, del relativo trattamento salariale. 

Il Tribunale di Verona gli aveva riconosciuto quale risarcimento la somma di 664mila euro. Questa, però, era stata rideterminata dalla Corte d’Appello a seguito di gravame interposto dalla società proprietaria del veicolo e della compagnia assicurativa, con la conseguente condanna nei confronti della vittima del sinistro a restituire a quest’ultima oltre 288mila euro.

In Cassazione il ricorrente lamenta l’esclusione delle componenti accessorie della retribuzione

Di qui il ricorso per Cassazione dove il danneggiato ha censurato la sentenza impugnata, tra le altre cose per il fatto che la Corte territoriale aveva escluso dalla quantificazione del danno futuro patito le componenti accessorie della retribuzione di macchinista sulla base di un’erronea premessa.

Esse, a suo dire, avendo natura indennitaria, sarebbero state legate allo svolgimento effettivo delle ulteriori prestazioni lavorative. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe violato il principio di integralità del risarcimento del danno, facendo gravare sul danneggiato le conseguenze pregiudizievoli causate dall’autore dell’illecito.

La Suprema Corte accoglie la doglianza ribadendo il principio dell’integralità del risarcimento

E per la Cassazione il motivo è assolutamente fondato. Nelle sue argomentazioni, la Suprema Corte ribadisce un principio espresso in tema di risarcimento del danno da perdita di capacità lavorativa subita dal danneggiato-lavoratore in conseguenza degli effetti negativi prodotti dall’illecito secondo cui: “là dove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione”.

 

Gli effetti del demansionamento rientrano tra le conseguenze dirette dell’illecito

Considerazioni che potevano ben essere estese anche al caso di specie, ove il danneggiato aveva subito una riduzione del trattamento retributivo in conseguenza del demansionamento disposto da Trenitalia S.p.A. per effetto della accertata incapacità a svolgere le funzioni di macchinista a causa delle lesioni subite dall’illecito. Infatti, per gli Ermellini, “gli effetti del demansionamento, cioè l’adeguamento in peius del trattamento retributivo, rientrano tra le conseguenze “dirette” dell’illecito, benché future (ma certe), e, come tali, devono essere valutate ai fini della quantificazione del risarcimento del danno ai sensi artt. 1223 e 2056 del codice civile”.

Ha dunque errato la Corte d’Appello, concludono i giudici del Palazzaccio, ad affermare che la parte di retribuzione avente ad oggetto le componenti accessorie non avrebbe potuto costituire oggetto di liquidazione del danno futuro, e ciò, “proprio perché sono dirette a compensare tale maggiore penosità del lavoro, esse presuppongono la prestazione effettiva del lavoro straordinario notturno, festivo o di altro genere, comunque correlato a speciali attività connesse alla funzione rivestita”. La sentenza impugnata è sato pertanto cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio.

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