La “personalizzazione” del danno dinamico-relazionale

Il tetto del 30 per cento fissato per la personalizzazione del danno biologico è assolutamente imperativo e vincolante in quanto stabilito dalla legge e non è illegittima la decisione di aumentare il risarcimento senza arrivare al massimo previsto. Lo ha chiarito la Cassazione, terza sezione civile, con la interessante ordinanza n. 2433/24 depositata il 25 gennaio 2024.

La causa di una donna per il risarcimento dei gravi danni patiti in seguito ad un investimento

La vicenda. Una donna aveva citato in causa avanti il Tribunale di Pescara il conducente di un mezzo pesante, un autotreno con rimorchio, e la compagnia di assicurazione chiedendone la condanna al risarcimento dei gravissimi danni patiti in seguito ad un incidente stradale occorso nel settembre del 2009, allorché era stata investita dal camion in questione mentre attraversava la strada.

Importante risarcimento, ma c’è corresponsabilità

Il giudice aveva accolto in parte la domanda, riconoscendo la pari responsabilità del pedone e del camionista nella causazione del sinistro e riconoscendo in proporzione alla danneggiata, al netto degli acconti già versati, una liquidazione complessiva di oltre 350mila euro.

Decisione confermata, con sentenza del 2021, dalla Corte d’Appello de L’Aquila, avanti la quale la donna aveva proposto gravame contestando sia il riparto della responsabilità stabilite in primo grado, che secondo l’appellante andava ascritta esclusivamente all’autotrasportatore, sia la quantificazione del risarcimento.

Ma i giudici avevano convenuto con il verdetto di primo grado evidenziando come, ferma la colpa dell’investitore, anche il pedone avesse tenuto una condotta del tutto anomala, essendo emerso che non solo aveva deciso di attraversare al di fuori delle strisce pedonali che si trovavano a soli 12 metri di distanza, ma lo aveva fatto pur avendo visto che stava sopraggiungendo l’autotreno, mettendo quindi in atto un attraversamento molto rischioso.

 

La quantificazione della liquidazione e la “personalizzazione”

Quanto poi alla liquidazione del danno, che è la questione che qui preme, la Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dalla danneggiata, aveva concluso – anche qui in linea con la sentenza di prime cure – che non sussistevano ragioni obiettive per disporre una diversa e maggiore personalizzazione del danno rispetto alla percentuale del 25 per cento già fissata, ritenuta congrua e idonea a risarcire i danni subiti avendo tale liquidazione, per citare la sentenza, previsto anche “una personalizzazione in misura superiore rispetto al punto-base del cosiddetto danno morale soggettivo”.

E a sostegno della loro decisione i giudici avevano richiamato ampi stralci dell’ordinanza n. 7513/208 della Cassazione, una sorta di decalogo della giurisprudenza di legittimità in ordine all’individuazione delle diverse voci di danno, osservando che era da considerare corretta la liquidazione del valore punto in relazione all’età della vittima e all’elevata percentuale di invalidità permanente accertata dal consulente tecnico medico legale, il 65 per cento. Su tale valore il tribunale aveva, secondo la Corte d’appello, correttamente calcolato l’aumento percentuale massimo del 25 per cento a titolo di personalizzazione, e ciò proprio al fine di tenere conto delle accertate e peculiari conseguenze che il sinistro aveva causato nella vita della danneggiata.

Del resto, la determinazione dell’invalidità nella misura del 65 per cento era stata compiuta dal Ctu proprio alla luce di tutte le menomazioni patite dalla donna sia in tema di pregiudizi estetici e funzionali che di sindrome depressiva reattiva. La personalizzazione, dunque, era doverosa e pienamente giustificata, anche perché, al di là della “profonda e radicale trasformazione della vita individuale e sociale della danneggiata”, era emersa anche una “sofferenza interiore non limitata al dolore fisico”.

Benché la vittima non avesse chiesto espressa mente il risarcimento anche di tale danno soggettivo, la Corte abruzzese aveva ricordato che, alla luce della sentenza n. 25164 del 2020 della Cassazione, la liquidazione del danno secondo le tabelle milanesi si fondava “su un sistema che incorpora nel valore monetario dei singolo punto di invalidità anche il pregiudizio morale”. Seguendo le indicazioni di pronuncia, che ha censurato alcune inesattezze contenute nelle tabelle milanesi, la Corte d’appello aveva dunque concluso rilevando che la sentenza del Tribunale, “non avendo epurato la componente (insita nel punto base delle tabelle milanesi) del danno morale soggettivo, ha provveduto alla sua liquidazione”, rigettando pertanto la censura relativa alla liquidazione del danno morale.

 

La danneggiata ricorre in Cassazione rivendicando anche una maggiore personalizzazione

La donna tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione riproponendo sostanzialmente le questioni già sollevate in appello, a cominciare da quella del riparto delle responsabilità, che la Suprema Corte alla fine ha riconfermato rigettando la doglianza in tal senso.

Ma il motivo che qui interessa è quello che aveva ad oggetto l’entità del danno liquidato, in particolare in relazione alla cosiddetta personalizzazione. Dopo aver ricordato che la sentenza impugnata, applicate le tabelle milanesi, aveva già riconosciuto una personalizzazione nella misura del 25 per cento, la ricorrente, per il tramite del proprio legale, sosteneva che alcune pronunce di legittimità consentirebbero una personalizzazione anche in misura più elevata, fino al 50 per cento.

Non essendo stata ancora emanata la tabella per le lesioni più gravi prevista dall’art. 138 del Codice delle Assicurazioni, che peraltro sta maturando proprio in questo avvio del 2024 con l’approvazione del regolamento da parte del Consiglio dei Ministri, secondo la danneggiata sussistevano tutte le condizioni per una personalizzazione in misura più alta, poiché il sinistro aveva causato danni che andavano ben al di là degli effetti standard di una lesione.

Un’affermazione, questa, respinta però seccamente dai giudici del Palazzaccio, che fanno chiarezza sul punto. L’art. 138, comma 2, lettera e), del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, dispone che “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione. Il successivo comma 3 del medesimo art. 138 stabilisce che, qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento «può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento”.

 

Il danno morale, se vi sono le condizioni, va liquidato in via autonoma dal danno biologico

Da queste disposizioni, proseguono gli Ermellini, le conclusioni sono due: “che il danno morale, ricorrendone le condizioni, deve essere liquidato in via autonoma rispetto al danno biologico (sentenza 11 novembre 2019, n. 28989) e che l’aumento previsto dal comma 3 fino al 30 per cento ha ad oggetto solo il danno biologico e non anche il danno morale”.

Secondo la Cassazione, dunque, la Corte abruzzese ha ricostruito con “perfetta correttezza” l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, rammentando che in base alla fondamentale ordinanza 27 marzo 2018, n. 7513, della Suprema Corte, “costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del anno biologico e del danno dinamico-relazionale, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale. E ha poi ricordato che alla luce della sentenza 10 novembre 2020, n. 25164, le tabelle milanesi redatte prima degli interventi correttivi della più recente giurisprudenza di questa Corte prevedevano sì la liquidazione del danno dinamico-relazionale e del danno morale, ma pervenivano (non correttamente) all’indicazione di un valore monetario complessivo, costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno”.

Il danno da sofferenza interiore era stato già ricompreso nel danno dinamico-relazionale

Fatte tutte queste premesse, la Cassazione prende atto di come la Corte territoriale abbia poi chiarito che “il danno da sofferenza interiore, certamente spettante alla vittima, benché non fosse stato espressamente richiesto, era da ritenere in realtà già liquidato dal Tribunale, proprio a causa della ri-comprensione di tale voce all’interno del danno dinamico­relazionale stabilito dalle tabelle milanesi all’poca vigenti e che, in considerazione dell’età della danneggiata e della grave percentuale di invalidità permanente, trovava piena giustificazione l’aumento della liquidazione del 25 per cento a titolo di personalizzazione del danno biologico, essendosi in presenza di postumi peculiari, non ordinari e di particolare gravità”.

Dunque, gli Ermellini rigettano la censura della ricorrente secondo la quale la sentenza impugnata avrebbe liquidato la questione “in poche battute dopo una accurata quanto inutile dissertazione sulla natura del danno non patrimoniale alla luce delle sentenze di San Martino”, per citare il ricorso.

 

Il tetto del 30% per la personalizzazione del danno biologico è imperativo e vincolante

Ma la Suprema Corte tiene anche a precisare che la pregressa sentenza della Cassazione addotta dalla ricorrente a supporto delle proprie tesi era stata emessa “in un contesto normativo e giurisprudenziale ben diverso da quello odierno, nel quale non era ancora intervenuta la nuova formulazione dell’art. 138 del d.lgs. n. 209 del 2005 ad opera dell’art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124”, e soprattutto che “il tetto del 30 per cento fissato per la personalizzazione del danno biologico è assolutamente imperativo e vincolante, in quanto stabilito per legge.

Il fatto che non sia intervenuta ancora, fino alla data della camera di consiglio della presente decisione (ma come detto adesso ci siamo, ndr) la tabella unica nazionale prevista dall’art. 138 cit. non significa che, una volta liquidato il danno biologico con le tabelle allo stato in applicazione, si possa poi disporre un aumento, a titolo di personalizzazione, in una misura “libera”, perché quel tetto, appunto, è stabilito dalla legge ed è insuperabile e immediatamente operativo”.

Anche questo motivo di ricorso, dunque, è stato rigettato con l’integrale riconferma delle sentenze dei giudici territoriali.

 

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