Nel risarcimento danni valgono le regole vigenti in quel momento

Con quali “regole” va risarcito un danno, non solo da sinistro stradale da di qualsiasi genere: con quelle vigenti al momento dell’incidente o al momento della liquidazione? In assenza di altre disposizioni di legge, sulla scorta delle seconde.

A fare chiarezza su una questione che spesso si pongono i danneggiati, la Cassazione, con l’ordinanza n. 19229/22 depositata il 15 giugno 2022.

 

La causa per un sinistro, sotto accusa i criteri applicati per definire la liquidazione, entrati in vigore dopo il sinistro

La vicenda. Nel 2009 un uomo rimasto vittima di un sinistro stradale, successo nel 2005, aveva citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia la controparte e la sua compagnia di assicurazioni, chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’incidente. Con sentenza del 2017 i giudici avevano accolto la domanda, ritenendo peraltro non condivisibile il grado di invalidità permanente stimato dal consulente tecnico d’ufficio nella misura di appena il 3% e, condividendo l’opinione proprio del consulente tecnico del danneggiato: il grado di invalidità permanente riconosciuto era stato quindi determinato nella misura del 20%, con conseguente liquidazione del danno alla salute in 79.319 euro.

La sentenza tuttavia era stata impugnata dall’assicurazione e, con sentenza del 2019, la Corte d’appello di Catanzaro aveva accolto il gravame e determinato il danno non patrimoniale patito dal danneggiato nella notevole minore misura di 8.374,48 euro. Secondo i giudici il danneggiato aveva subito postumi consistenti in realtà in una “lievissima sintomatologia” consistente in una sfumata paraparesi, in assenza di lesioni neuro-radiologiche, e aveva liquidato il danno applicando i criteri stabiliti ai sensi dell’art. 139 del Codice delle Assicurazioni.

A questo punto è stato il danneggiato a proporre ricorso per Cassazione con una serie di motivi di doglianza, peraltro tutti rigettati dalla Suprema Corte. Quello che qui interessa approfondire è il primo nel quale il ricorrente sosteneva che la Corte di merito avrebbe erroneamente liquidato il danno in base ai criteri stabiliti dall’articolo 139 del codice delle assicurazioni, norma entrata in vigore dopo che si era verificato il sinistro. 

Al di là della scarsa chiarezza sul punto nel ricorso, e anche sulla mancata indicazione di quali altri criteri avrebbero dovuto applicare i giudici per la monetizzazione del danno biologico permanente, la Cassazione sottolinea che “il ricorso invoca comunque l’applicazione di principi di diritto erronei, che è doveroso qui confutare anche ai sensi dell’art. 363, terzo, comma, c.p.c.. 1.3”. 

 

La liquidazione avviene secondo le norme vigenti in quel momento

Erronea è innanzitutto, spiegano i giudici del Palazzaccio, l’affermazione secondo cui, “quando la legge in una determinata materia detti regole per la liquidazione del danno aquiliano, tali regole debbano applicarsi solo ai fatti illeciti 444 avvenuti dopo l’entrata in vigore di esse”. Anzi, prosegue la Cassazione, “è vero piuttosto l’esatto contrario: la liquidazione di qualunque danno, ove la legge non disponga altrimenti, deve avvenire in base alle regole vigenti al momento della liquidazione, e non al momento del fatto illecito. La liquidazione del danno, infatti, non è un elemento della fattispecie astratta “illecito”: è un giudizio, e come tutti i giudizi non può che avvenire in base alle regole (di fonte normativa o pretoria) vigenti al momento in cui viene compiuto”.

Il criterio vale per qualsiasi tipo di danno

Un criterio, precisano altresì gli Ermellini, già ripetutamente applicato dalla Cassazione anche per altre fattispecie di danno: in tema di danno alla salute causato da colpa medica, “che deve avvenire in base ai criteri stabiliti dall’art. 7, quarto comma, anche per i fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore di tale legge”; in tema di danno ambientale, “da liquidarsi in base ai criteri stabiliti dall’art. 311, comma terzo, d. lgs. 152/06, anche se l’illecito è stato commesso prima”; in tema di danno non patrimoniale da morte, “da liquidarsi in base ai criteri orientativi (c.d. “tabelle“) diffusi al momento della liquidazione, e non dell’illecito; in tema di liquidazione del danno alla persona causato da sinistri stradali, come nel caso di specie; in tema di liquidazione del danno da ingiusta detenzione, “che deve avvenire in base al massimale vigente al momento della liquidazione, e non della detenzione”; in tema di liquidazione del danno da c.d. occupazione appropriativa.

Non meno erronea, poi, prosegue la Cassazione, è l’allegazione secondo cui la Corte d’appello di Catanzaro, liquidando nel 2019 un danno alla salute verificatosi quattordici anni prima, non avrebbe potuto valutare il grado di invalidità permanente in base ai criteri stabiliti dall’art. 139 cod. ass.. “Infatti l’art. 354, comma quinto, lettera (b), cod. ass., nell’elencare le norme abrogate per effetto dell’entrata in vigore del codice delle assicurazioni, ha espressamente previsto la permanenza in vigore del d.m. 3 luglio 2003 (in Gazz. uff. n. 211 dell’i 1 settembre 2003), vale a dire del provvedimento di approvazione della tabella contenente i criteri medico legali per la stima del danno biologico permanente compreso tra uno e nove punti di invalidità. Il combinato disposto degli artt. 139 e 354 cod. ass., pertanto, impone al giudice di stimare il grado di invalidità permanente in base alla tabella approvata dal suddetto decreto. 

“Non solo dunque, il ricorso è infondato perché il danno alla salute va liquidato in base ai criteri di legge vigenti al momento della decisione, e non al momento del fatto illecito, ma sarebbe altresì infondato quand’anche fosse vero il contrario, giacché alla data del sinistro oggetto del presente giudizio (2005) erano in vigore già da due anni i criteri di determinazione del grado di invalidità permanente (che in futuro saranno) richiamati dall’art. 139 cod. ass.”. 

 

La Suprema Corte si sofferma infine su un precedente addotto dal ricorrente

La Cassazione si sofferma anche sul precedente citato dal ricorrente a sostegno della propria tesi, ossia la sentenza n. 1104/2009, così massimato dall’Ufficio del Massimario: “nella liquidazione del danno alla persona causato da sinistri stradali è inibito al giudice, per determinare il danno biologico lieve o da micropermanente, fare riferimento alle tabelle medico-legali approvate con d. m. 3 luglio 2003, quando il sinistro si sia verificato in data anteriore all’entrata in vigore del suddetto decreto, avvenuta l’il settembre 2003”. Il decreto “che si pone in rapporto di specialità rispetto alla generale disciplina di cui all’art. 2056 cod. civ., non ha efficacia retroattiva, a meno che le parti non ne chiedano concordemente l’applicazione. In mancanza di tale accordo, il giudice del merito è tenuto a liquidare il risarcimento mediante una valutazione equitativa personalizzata che tenga conto della tipologia delle lesioni e delle condizioni soggettive della vittima, esponendo nella motivazione della sentenza i criteri a tal fine adottati“. 

Si tratta, tuttavia, di una decisione che la Suprema Corte definisce “non pertinente rispetto al caso oggi in esame”, ed alla quale comunque il Collegio “non intende dare continuità”. In primo luogo, infatti, il principio stabilito da Cass. 11048/09 non viene in rilievo nel giudizio in questione, “in quanto questo ha ad oggetto un danno verificatosi non già prima, bensì dopo l’entrata in vigore del d.m. 3.7.2003, che come si è accennato è richiamato dall’art. 139 cod. ass. ed è rimasto immutato negli ultimi vent’anni. Il caso deciso da Cass. 11048/09, per contro, aveva ad oggetto un caso in cui il danno si era verificato prima dell’entrata in vigore del d.m. 3.7.2003”.

In secondo luogo, comunque, il principio affermato da Cass. 11048/09 “non è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte: in senso contrario si è infatti osservato che anche ad ammettere che fosse corretto ritenere inapplicabile ratione temporis il barème medico legale approvato con d.m. 3.7.2003, ciò non esclude che i criteri di cui al suddetto decreto “possano essere utilizzati dal giudice quale parametro di valutazione” in via analogica (così Sez. L, Sentenza n. 2883 del 24.2.2012). 

 

La determinazione del grado di invalidità deve avvenire con criteri medico-legali

In terzo luogo, quel che più rileva, il principio affermato da Cass. 11048/09 secondo i giudici del Palazzaccio (di oggi) si fonda su un non condivisibile assunto, cioè “l‘avere ritenuto che, quando non sia applicabile una legge ad hoc, la determinazione del grado di invalidità permanente causato da un fatto illecito possa avvenire “in via equitativa”. Ma l’art. 1226 c.c. consente al giudice di provvedere equitativamente alla liquidazione del danno, non all’accertamento dei fatti. E lo stabilire quale sia il grado percentuale di invalidità residuato ad una lesione personale costituisce accertamento d’un fatto, non liquidazione d’un danno. La determinazione del grado di invalidità permanente non ha nulla a che vedere con l’equità, poiché essa deve avvenire con criteriologia medico-legale, e sulla base di baréme aggiornati e condivisi dalla comunità scientifica medico-legale. Questa Corte infatti ha stabilito che all’accertamento concreto del grado percentuale di invalidità permanente sono (..) estranei i concetti di equità e di iniquità. Pertanto, anche nell’ipotesi in cui il d.m. 3.7.2003 non fosse stato applicabile ratione temporis, in ogni caso era perfettamente lecito e consentito al giudice valutare il grado di invalidità permanente in base al barème approvato con quel decreto, in quanto comunque esso costituiva un metodo di valutazione scientificamente corretto, a fronte del quale resta esclusa la possibilità del ricorso “all’equità” (e men che meno alle personalissime convinzioni del medico-legale) per stimare il grado percentuale di invalidità permanente”. 

Nel ribadire l’inammissibilità del ricorso, la sentenza conclude con l’affermazione di due principi di diritto: “qualsiasi tipo di danno, in assenza di diverse disposizioni di legge, va liquidato in base alle regole vigenti al momento della liquidazione, e non al momento del fatto illecito”; 

la percentuale di invalidità permanente causata da una lesione della salute non può mai stabilirsi “in via equitativa”, ma va determinata con corretto criterio medico-legale, e in base ad un barème redatto con criteri di scientificità: il barème approvato con d.m. 3.7.2003 possiede tale requisito”.

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