Richiesta del danno differenziale per malattia professionale

Com’è noto, il lavoratore può richiedere il cosiddetto danno differenziale, ossia il danno risarcibile ottenuto dalla differenza tra quanto versato dall’Inail a titolo di indennizzo per un infortunio sul lavoro o una malattia professionale, e quanto è possibile richiedere al datore di lavoro a titolo, appunto, di risarcimento del danno in sede civile.

Ma entro quando si può far valere questo diritto? Ovvero, qual è il termine da cui decorre la prescrizione quinquennale. Preziosa in tal senso l’ordinanza n. 34377/22 depositata il 22 novembre 2022 con cui la Cassazione, sezione Lavoro, accogliendo il ricorso di una lavoratrice, ha riaffermato tra gli altri due principi: la malattia professionale, oggetto nello specifico del contenzioso, deve essere pienamente accertata, il danneggiato deve averne cioè completa e oggettiva contezza, così come della sua derivazione dall’attività lavorativa, e inoltre se l’illecito da parte del latore di lavoro che ha determinato il pregiudizio (nella fattispecie l’inquinamento acustico) non ha carattere temporaneo bensì permanente, la prescrizione decorrerà dal momento della definitiva cessazione della condotta inadempiente e ovviamente, se mai sanata, dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La dipendente di una società chiede il danno differenziale per l’ipoacusia causatale dai rumori

La vicenda. Una lavoratrice aveva citato in causa la società per la quale aveva lavorato per vent’anni, tra il 1979 e il 1999, per il risarcimento del danno differenziale derivato da malattia professionale, più precisamente ipoacusia bilaterale da rumore, ma sia il tribunale di Taranto sia la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 2018, avevano respinto la domanda ritenendo maturata la prescrizione del diritto.

Secondo i giudici territoriali, il termine prescrizionale doveva infatti decorrere dal 1994, danno in cui era stata certificata, seppur in termini di sospetto, la tecnopatia e il lavoratore aveva inoltrato la denuncia di malattia professionale all’ente previdenziale. La Corte territoriale inoltre aveva ritenuto che la prospettazione della condotta datoriale quale illecito permanente (e non quale illecito istantaneo) era stata effettuata solamente in grado di appello, dunque tardivamente, e, in ogni caso, doveva trattarsi di aggravamento.

La danneggiata ha proposto dunque ricorso per Cassazione sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe errato nell’individuazione del momento di decorrenza della prescrizione, fatto coincidere con il rilascio del certificato del medico attestante la sospetta ipoacusia, che invece doveva decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro (nel 1999) considerato il carattere permanente dell’illecito posto in essere dal datore di lavoro con la violazione degli obblighi di sicurezza imposti dall’art. 2087 c.c.

 

La prescrizione decorre dalla certezza di conoscibilità ed eziologia professionale del danno

Motivi fondati secondo la Suprema Corte. Gli Ermellini ricordano innanzitutto il principio secondo  cui in materia di prescrizione del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale dipendente da malattia professionale trova applicazione il medesimo criterio relativo all’azione diretta a conseguire la rendita per inabilità permanente nei confronti dell’Inail, “per la quale si è affermato che la prescrizione decorre dal momento in cui uno o più fatti concorrenti forniscano certezza della conoscibilità da parte dell’assicurato dello stato morboso, della sua eziologia professionale e del raggiungimento della misura minima indennizzabile”.

I giudici del Palazzaccio rammentano anche la sentenza n. 580/2008 delle Sezioni Unite che, nel pronunciarsi sul momento di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno in caso di patologie contratte per fatto doloso o colposo di un terzo, hanno parimenti riferito all’azione risarcitoria i principi elaborati dalla Sezione lavoro della Cassazione per il conseguimento delle prestazioni assicurative per malattia professionale: nella motivazione, spiega la Cassazione, è stato condiviso l’orientamento secondo cui lamanifestazione del danno da cui decorre il termine di prescrizione è comprensiva anche della conoscenza della causa professionale della lesione”.

Le Sezioni Unite – prosegue la Suprema Corte – hanno enunciato, in tema di responsabilità aquiliana per malattie riconducibili al fatto doloso o colposo di un terzo, i principi della “conoscibilità del danno” e della “rapportabilità causale”, specificando che tali principi non aprono la strada alla rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato: la conoscibilità dev’essere saldamente ancorata a due parametri oggettivi, uno interno e l’altro esterno al soggetto leso, ovvero, rispettivamente, la ordinaria diligenza ed il livello di conoscenze scientifiche dell’epoca; in relazione al soggetto leso l’ordinaria diligenza si esaurisce nel portarsi presso una struttura sanitaria per gli accertamenti sui fenomeni patologici avvertiti, mentre l’elemento esterno va apprezzato in relazione alla comune conoscenza scientifica che era ragionevole richiedere in una data epoca in merito alla patologia manifestatasi ai soggetti cui la persona lesa si è rivolta o avrebbe dovuto rivolgersi.

Ancora, i giudici del Palazzaccio rilevano come la Cassazione abbia anche affermato, in relazione alla responsabilità ex contractu del datore di lavoro, che “la prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente a malattia causata al dipendente nell’espletamento del lavoro dal comportamento colposo del datore di lavoro decorre dal momento in cui l’origine professionale della malattia può ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, indipendentemente dalle valutazioni soggettive dello stesso”.

 

Se poi l’illecito che ha causato il danno è permanente, il termine decorre dalla sua cessazione

E sottolineano poi come la prescrizione del diritto al risarcimento del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza della mancata adozione da parte del datore di lavoro di adeguate misure di sicurezza delle condizioni di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c.,decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, divenendo percepibile e riconoscibile nei sensi sopra detti, solo se l’illecito sia istantaneo (ancorché con effetti permanenti) ovvero si esaurisca in un tempo definito, mentre ove l’illecito si sia protratto nel tempo, ed abbia perciò carattere permanente, il termine di prescrizione comincia a decorrere al momento della definitiva cessazione della condotta inadempiente”.

Infine, la Cassazione, concludono il loro excursus gli Ermellini, ha inoltre affermato che la domanda giudiziale “va identificata in base al bene della vita richiesto e ai fatti storici-materiali che delineano la fattispecie concreta: ne consegue che, se i fatti materiali ritualmente allegati rimangono immutati, è compito del giudice individuare quali tra essi assumano rilevanza giuridica, in relazione alla individuazione della fattispecie normativa astratta in cui tali fatti debbono essere sussunti ed indipendentemente dal tipo di diritto indicato dalla parte, senza che possa individuarsi alcun tipo di decadenza”.

Ebbene, secondo la Cassazione la sentenza impugnata si è adeguata solo parzialmente a tali principi, in quanto, “pur richiamando correttamente gli arresti di questa Corte sulla irrilevanza delle concrete valutazioni soggettive del danneggiato, nella sua indagine ha fatto coincidere il decorso della prescrizione con la diagnosi della malattia, trascurando di verificare se la condotta datoriale inadempiente si fosse esaurita al momento della prima diagnosi della stessa o se, piuttosto, essa si fosse protratta, potendo l’aggravamento assumere rilievo indiziante in tal senso, da procrastinare, per quanto qui rileva, il decorso del termine di prescrizione”.

La sentenza è stata quindi cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, per un nuovo esame degli atti con l’applicazione, però, dei principi esposti sopra.

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