Scopre solo a 16 anni il vero padre, che però la rifiuta: risarcita per il danno esistenziale

Il danno esistenziale ricomprende un’ampia casistica di pregiudizi, che tuttavia, come ha chiarito anche una recente ordinanza della Cassazione, la n. 2056 depositata il 29 gennaio del 2018, non si limita a una mera perdita delle abitudini quotidiane, in disagi, ansie, stress e violazioni alla propria tranquillità e privacy, ma arriva finanche al “radicale cambiamento di vita, nell’alterazione o nel cambiamento della personalità del soggetto”.

Il dramma di una ragazza che scopre all’improvviso il vero padre

In questo senso rientra appieno anche dal punto di vista risarcitorio, secondo gli Ermellini, la traumatica esperienza subita da una ragazzina che a 16 anni ha dovuto prendere atto che colui che considerava suo papà non era in realtà il vero padre e, soprattutto, che per lunghi anni si è vista “rifiutata” dal genitore biologico.

Tutto trae origine dal giudizio concernente l’accertamento giudiziale di paternità promosso da una madre e dalla figlia nei confronti dell’uomo identificato come il papà naturale della giovane.

In primo grado il Tribunale riconosce alla figlia il diritto ad ottenere un contributo di mantenimento di 1.500 euro mensili, nonché la somma di trentamila euro a titolo di risarcimento del danno esistenziale.

La Corte di appello, presso la quale il padre biologico ha impugnato la sentenza, respinge l’appello e conferma sia l’accertamento giudiziale di paternità, sia il contributo al mantenimento della figlia sia il riconoscimento in favore di quest’ultima del danno esistenziale liquidato in trentamila euro.

 

Il ricorso per Cassazione

Il vero padre però ricorre anche per Cassazione adducendo una serie di motivi di doglianza, tra i quali proprio il fatto che sia stato riconosciuto il danno esistenziale a favore della figlia, lamentando nel dettaglio l’omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi della controversia, la violazione degli artt. 2 e 30 della Costituzione, l’erronea valutazione del contenuto della produzione documentale della parte convenuta ed il difetto di istruttoria, nonché il travisamento e l’erronea valutazione dei fatti, la violazione dell’art. 116 c.p.c. sul prudente apprezzamento delle prove, e, sotto un altro profilo, la violazione dell’art. 1226 c.c. e l’insufficiente ed illogica motivazione in merito alla liquidazione equitativa del danno esistenziale.

Ma per la Cassazione, che così si è espressa con l’ordinanza n. 9497/19 depositata il 4 aprile 2019, tale motivo è inammissibile.

 

La Cassazione riconosce il danno esistenziale

Gli Ermellini fanno proprie le conclusioni già espresse nei precedenti gradi di giudizio, sottolineando che la liquidazione del danno esistenziale era pienamente giustificata dalla “grave carenza di ordine affettivo e di calore familiare” ravvisata nel comportamento del padre nei confronti della figlia, che non aveva così potuto godere di quest’affetto dal momento in cui, nel 2010, aveva scoperto la diversa paternità.

Secondo la Suprema Corte, inoltre, è priva di fondamento anche la circostanza, addotta dal ricorrente, che la figlia aveva avuto un padre legittimo fino al 2012: circostanza ritenuta irrilevante dalla Corte di appello, che ha motivatamente considerato decisiva la anteriore epoca della conoscenza della diversa paternità (2010).

Respinte dalla Cassazione anche le altre istanze del vero padre di tra cui quella di rideterminare l’importo del contributo di mantenimento: tutto confermato.

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