Niente risarcimento per la caduta sulla buca evidente e “conosciuta”

Ormai l’orientamento assunto dalla Cassazione sulle cadute sulle buche, uno degli infortuni più frequenti in materia di responsabilità da cose in custodia (art. 2015 c.c.), appare consolidato e non manca di destare perplessità e discussioni.

In buona sostanza, gli Ermellini respingono (quasi) ogni pretesa di risarcimento laddove la strada o il marciapiede in questione siano palesemente dissestati e se il danneggiato sia a conoscenza dello stato dissesto.

Paradossalmente, agli Enti gestori converrebbe mantenere l’asfalto in condizioni pietose. Emblematica, in tal senso, la sentenza n. 17443/19 pronunciata dalla terza sezione e depositata il 28 giugno, secondo la quale integra il caso fortuito, che interrompe il nesso causale tra cosa custodita e evento di danno, la condotta del danneggiato quando questi sia a conoscenza della situazione di grave dissesto della via e, nonostante ciò, tenga una condotta imprudente.

Ne consegue che il Comune, titolare della strada “colabrodo”, non risponde per la caduta del danneggiato, cagionata dalla buca, quando le pessime condizioni del manto stradale sono immediatamente percepibili da chiunque, a maggior ragione da chi conosce il luogo.

 

Pedone risarcito per la caduta in primo grado, ma non nel secondo

Il caso. Un pedone convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Paola il Comune di Longobardi chiedendo il risarcimento del danno determinato dalla rovinosa caduta di cui era rimasto vittima a causa della presenza sul manto stradale di una buca non visibile.

Il Tribunale accolse la domanda condannando il Comune al pagamento di ben 45.453,38, oltre agli interessi. L’Amministrazione comunale appellò la decisione e, con sentenza del 2016, la Corte d’Appello di Catanzaro accolse il ricorso.

I giudici di secondo grado asserirono, appunto, che, in via generale, “la violazione del dovere di cautela da parte del danneggiato in presenza di cosa potenzialmente pericolosa rappresenta caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità fra la cosa e l’evento dannoso”.

E aggiunsero, nello specifico, che, fermo lo stato di dissesto della strada in questione, una mulattiera, era emerso come l’infortunato ben conoscesse lo stato dei luoghi “che percorreva peraltro di notte ed in condizioni di scarsa visibilità”: d’altra parte, era l’unica strada per raggiungere l’abitazione della madre.

La Corte territoriale, nel capovolgere la sua decisione, sottolineava anche che, pur in mancanza di illuminazione, lo stato diffuso di dissesto della strada (priva di luce e di asfalto, cosparsa di buche e ricolma di acqua) era immediatamente percepibile per chi vi transitava, tanto più per chi conosceva bene lo stato dei luoghi. E pertanto concluse addebitando la causa del sinistro al comportamento imprudente del danneggiato.

 

Ricorso per Cassazione per responsabilità del custode

L’uomo ha a sua volta proposto ricorso per Cassazione obiettando che, al di là del fatto che era obbligo del custode eliminare le situazioni di pericolo, la corte territoriale non avrebbe valutato le risultanze istruttorie.

L’infortunato, infatti, aveva spiegato di recarsi in quel luogo solo una volta all’anno, nel periodo estivo, che le buche non erano visibili perché coperte di foglie e piene d’acqua e che la strada non era illuminata: la caduta era avvenuta dopo mezzanotte. Circostanze che avrebbero fatto venir meno qualsiasi concorso del danneggiato escludendo l’esistenza del caso fortuito.

Per i giudici del Palazzaccio, però, il motivo è inammissibile.

La decisione della Corte d’appello, si scrive nella sentenza “è conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia di rilevanza della condotta del danneggiato nella fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ..

Il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento: a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione”

 

Il dovere di cautela “violato” interrompe il nesso eziologico

In pratica, la Cassazione chiarisce che quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, “tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”

Secondo la Suprema Corte, la circostanza della conoscenza da parte del pedone dello stato dei luoghi, accertata dal giudice di merito, “qualifica in senso particolare la fattispecie nel senso che, essendo il (omissis) consapevole delle condizioni di dissesto, aveva il dovere di adottare le cautele richieste dalle circostanze del caso.

Per effetto della violazione del dovere di cautela si è pertanto interrotto il nesso eziologico fra fatto ed evento dannoso”.

 

Respinte anche le richieste di risarcimento di una donna caduta sul marciapiedi

Stesso destino per il ricorso in Cassazione presentato da una donna, sempre calabrese, che aveva citato in causa, davanti al Giudice di Pace di Caulonia, il Comune della stessa città per vederlo condannare al risarcimento dei danni patiti a seguito di una caduta avvenuta nel lontano 2002 a causa di una buca presente sul marciapiedi.

Anche in questo caso il giudice di prime cure, acquisita una CTU ed escussa una prova testimoniale, qualificata la fattispecie nel quadro dell’art. 2043 c.c., e accertata la responsabilità dell’ente per aver omesso di svolgere la manutenzione della strada e per non aver segnalato la buca, condannò il Comune a risarcire la danneggiata.

Ma il Tribunale di Locri, con sentenza del 2016, accolse l’appello del Comune e rigettò la domanda risarcitoria, ritenendo che la buca fosse ben visibile e che il comportamento disattento della danneggiata costituisse scriminante la responsabilità della Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art.2051 c.c.

Il Giudice ha dunque sussunto la fattispecie nel quadro dell’art. 2051 c.c., ritenendo possibile il concreto controllo e la vigilanza della P.A. sul bene, ed ha ritenuto, con riguardo al riparto dell’onere della prova, ed in linea con la consolidata giurisprudenza della Cassazione che, per vincere la presunzione di responsabilità dell’ente custode, la prova del fortuito fosse integrata dal fatto colposo della danneggiata.

 

Prevedibilità dell’insidia con l’ordinaria diligenza

Avverso questa sentenza la danneggiata ha dunque proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi.

Ad avviso della ricorrente la sentenza, pur dando conto della diversità tra i presupposti dell’art 2043 c.c. e dell’art. 2051 c.c, avrebbe contraddittoriamente, da un lato, sussunto il caso sotto l’art. 2051 c.c., dall’altro affermato la carenza di prova per non avere la danneggiata dimostrato la non visibilità e non prevedibilità dell’insidia, rappresentata dalla buca insistente sul marciapiedi.

Secondo la donna, non sarebbe stata fornita la prova liberatoria così che la sentenza si porrebbe in contrasto con l’art. 2051 c.c. Con il secondo motivo, si censurava la sentenza per violazione dell’art.2051 c.c., dell’art. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. per errata valutazione delle risultanze istruttorie, sempre in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3 c.p.c. Ad avviso della ricorrente il Tribunale, pur dichiarando di voler applicare i principi di cui all’art. 2051 c.c., non avrebbe tenuto conto delle prove raccolte in relazione allo stato dei luoghi in cui il sinistro si era verificato: un marciapiedi aperto al pubblico transito, non adeguatamente transennato, privo di qualsiasi segnaletica atta ad indicare all’utenza la presenza della buca, di forma circolare, profonda ma non particolarmente grande.

Ma per la Cassazione, sempre la terza sezione, che ha respinto il ricorso con la sentenza n. 17903/19 del 4 luglio, anche in questo caso i motivi di doglianza son inammissibili.

“La sentenza impugnata – asseriscono gli Ermellini – è immune da tutte le pretese censure sollevate perché ha correttamente applicato l’art. 2051 c.c., nel solco della giurisprudenza consolidata di questa Corte.

I motivi si palesano dunque inammissibili anche ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1 c.p.c. per assenza di argomenti che possano portare ad un ripensamento della suddetta consolidata giurisprudenza”.

Secondo la Suprema Corte, il giudice, “sussunta correttamente la fattispecie sotto l’art. 2051 c.c., ha ritenuto che il Comune custode della strada abbia fornito la prova del caso fortuito, integrato dal comportamento della danneggiata che, in presenza di una cosa potenzialmente pericolosa, non ha posto in essere tutte le cautele che sarebbero state esigibili in relazione alle condizioni di luogo, di tempo e di visibilità dei luoghi, con ciò interrompendo il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all’ente e l’evento dannoso”.

La sentenza, ribadisce la Cassazione, si pone in continuità con la giurisprudenza consolidata della stessa Corte, “secondo la quale l’ente proprietario d’una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., per difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo”.

Nel compiere tale ultima valutazione, ripete la terza sezione, “si dovrà tener conto che, quanto più questo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all’ente e l’evento dannoso”.

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