Colpevole dell’infortunio il datore di lavoro che non forma adeguatamente il dipendente, anche se questi è stato imprudente

Anche se il lavoratore è stato “imprudente”, ciò non esime dalle sue responsabilità per l’infortunio occorso il datore di lavoro che abbia affidato al suo dipendente compiti per i quali non era stato adeguatamente formato.

A ribadire con forza questo concetto, e contestualmente l’obbligo e la rilevanza assoluta di un’opportuna formazione, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27787/2019 depositata il 24 giugno 2019.

Datore di lavoro condannato per omicidio colposo

La Suprema Corte ha affrontato l’ennesimo, tragico caso di una morte bianca, quella di un taglialegna dipendente di una ditta di legnami rimasto schiacciato da una pianta di abete rosso che stava appunto tagliando.

A finire a processo per omicidio colposo il titolare dell’impresa. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza pronunciata in data 13 ottobre 2016, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Belluno, riconosciute all’imputato le circostanze attenuanti generiche, aveva rideterminato nella misura di un anno e sei mesi di reclusione la pena nei confronti dell’imputato, ritenuto colpevole del reato ascrittogli per inosservanza della disciplina prevenzionistica.

Al datore di lavoro veniva contestato di avere omesso di assicurare al dipendente deceduto una adeguata formazione e di garantirgli una informazione in relazione alla attività di abbattimento di piante nel comune bellunese di Arsiè a cui era stato destinato unitamente a un più anziano ed esperto collega: a causare la tragedia, infatti, era stata la tecnica non corretta adottata nell’abbattimento.

Più in particolare, la corte territoriale ravvisava profili di colpa in capo all’imputato in ragione di una carente ed inadeguata formazione del dipendente, la quale da un lato non era corredata da attestazioni di effettiva partecipazione a corsi e dall’altra si era articolata nel delineare la complementare attività di sramatura, che presupponeva l’abbattimento della pianta, laddove l’istruttoria dibattimentale aveva confermato che l’operaio era stato utilizzato anche in attività di taglio delle piante, sebbene di modesta dimensione.

La Corte d’Appello aveva inoltre escluso l’esorbitanza e l’eccezionalità della condotta del lavoratore il quale, secondo la difesa del datore di lavoro, non solo avrebbe intrapreso l’attività del taglio della pianta a seguito di iniziativa autonoma, ma addirittura in violazione di specifiche prescrizioni impartitegli dal titolare e dal caposquadra, in quanto era comunque mancata una corretta segnalazione del divieto, in mancanza di accorgimenti visibili e segni idonei a rammentargli l’eventuale istruzione ricevuta verbalmente.

 

Ricorso in Cassazione per comportamento imprudente del lavoratore

Il datore di lavoro ha quindi appellato la sentenza per Cassazione con due motivi di ricorso.

Con il primo, circa la carente formazione e informazione impartita sul contenuto della prestazione e sulla tecnica lavorativa da osservare, egli obiettava che dall’istruttoria dibattimentale era emerso che al dipendente era stato interdetto il taglio delle piante, cui mai in precedenza era stato adibito, mentre la formazione e l’informazione integralmente ricevute attenevano, appunto, all’attività di sramatura delle piante una volta a terra dopo il taglio, aggiungendo anche che gli erano stati consegnati dispositivi di sicurezza correlati alle attività da compiersi e ai rischi connessi e fornite specifiche istruzioni sulle piante che non andavano lavorate.

Con il secondo motivo, insisteva sul comportamento esorbitante, eccentrico ed eccezionale del lavoratore il quale aveva di propria iniziativa proceduto al taglio dell’abete pure in presenza di contrarie istruzioni fornite dal datore di lavoro nel corso di sopralluogo avvenuto alcuni giorni prima dell’infortunio, e nonostante il caposquadra gli avesse prescritto di limitarsi alla sramatura di una pianta che egli aveva appena finito di tagliare.

Una condotta a suo dire del tutto eccentrica rispetto all’area di rischio governata dal titolare della posizione di garanzia.

Per la Cassazione, tuttavia, le censure sono infondate. Secondo la Suprema Corte il giudice distrettuale nelle motivazioni della sentenza aveva “logicamente” evidenziato come la fase formativa fosse stata del tutto carente in relazione alla prestazione lavorativa di taglio delle piante a cui il dipendente era assegnato, sulla base di argomentazioni concernenti le carenze formative segnalate dallo stesso caposquadra, la mancata partecipazione del lavoratore a corsi di formazione e la carenza della documentazione prodotta dalla difesa dell’imputato.

“Del tutto legittimamente il giudice distrettuale ha parametrato l’obbligo di informazione non già alla ausiliaria e complementare prestazione della sramatura delle piante da abbattere, come richiesto dalla difesa del ricorrente, bensì a quella che era la principale attività dell’azienda del (omissis) e cioè il taglio delle piante e la lavorazione del legname – spiegano gli Ermellini – L’inesperienza e la carenza di conoscenze tecniche del (omissis) nel settore di riferimento (egli aveva esperienza quale muratore ed era stato assunto dalla ditta di legnami appena dieci giorni prima del tragico evento) imponevano da un lato l’osservanza di un periodo di apprendistato del lavoratore in attività ausiliarie o di supporto ma, al contempo, giustificavano la somministrazione al lavoratore apprendista di una formazione idonea a garantire l’apprendimento delle tecniche di abbattimento e di sramatura ma, in ogni caso, ad assicurare l’osservanza di precauzioni necessarie a prevenire, anche in relazione alle prestazioni cui sarebbe stato nel tempo chiamato a svolgere, il realizzarsi di eventi dannosi”.

 

Il lavoratore non aveva ricevuto un’adeguata formazione

I giudici del Palazzaccio reputano del tutto illogico il pregiudizio alla base del primo motivo di ricorso, secondo cui l’operaio avrebbe dovuto ricevere formazione e informazione limitatamente alla prestazione lavorativa concernente le pratiche ausiliarie di sramatura, “laddove lo stesso caposquadra non aveva potuto negare che il povero (omissis) nei giorni precedenti l’infausto evento avesse abbattuto degli alberi”.

E a nulla rileva, secondo la Suprema Corte, che nel verbale di consegna dei dispositivi di protezione individuale firmato dal lavoratore quest’ultimo riconoscesse di aver ricevuto una sufficiente informazione sul loro utilizzo e sui rischi della lavorazione, “in quanto il giudice di appello ha evidenziato come il datore, pure avendo ottenuto una sorta di liberatoria dai propri dipendenti in ordine alla dotazione di strumenti antinfortunistici, di fatto aveva eluso gli obblighi sullo stesso incombenti sul luogo di lavoro, che non si arrestavano alla acquisizione e alla fornitura dei presidi volti ad assicurare la protezione dei singoli dipendenti ma, come prescrive la disposizione normativa richiamata nel capo di imputazione, imponevano di richiedere l’osservanza della utilizzazione dei suddetti dispositivi, poiché il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle dopo avere somministrato al lavoratore una adeguata formazione sull’utilizzo dei presidi e sui rischi connessi alle lavorazioni cui il lavoratore era chiamato a partecipare”.

 

La condotta del lavoratore non è stata “eccentrica” ed “imprevedibile”

Ma per la Cassazione risulta infondato anche il secondo motivo di ricorso che lamentava la mancata esclusione del rapporto di causalità in ragione della imprevedibilità, eccentricità e imprudenza del comportamento del dipendente.

La Suprema Corte concorda anche qui con il ragionamento del giudice distrettuale che aveva evidenziato come anche la pianta causa dell’infortunio mortale  fosse stata ricompresa, mediante specifica segnalazione, tra quelle da abbattere, “né risultano elementi obiettivi da cui ricavare che la stessa era soggetta a procedure di taglio particolari in ragione delle sue caratteristiche arboree o della posizione all’interno del bosco”.

Il dipendente, a quanto riferito dal caposquadra, mentre stava operando con lui nello sramamento di una pianta appena abbattuta, si sarebbe messo a sua volta a tagliare l’abete rosso in ragione della patologia fungina che presentava: pianta che assunse un raggio di caduta non convenzionale e preventivabile per un lavoratore privo di esperienza, così da cadergli addosso.

Gli Ermellini però ricordano che “la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento-morte o lesioni del lavoratore che ne sia vittima può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento”.

E la Suprema Corte chiarisce cosa si intenda per “abnorme”: può definirsi tale “soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli”.

Nel caso specifico, è fuor di dubbio, osserva la Cassazione, “che il lavoratore fosse intento alla esecuzione di un compito che rientrava nelle mansioni cui era chiamato ad attendere quantomeno sotto il controllo di altro lavoratore, e comunque in relazione alle quali avrebbe dovuto possedere una adeguata formazione, e a poca distanza dal luogo in cui operava il caposquadra”: l’iniziativa del lavoratore di abbattere una pianta che doveva essere tagliata, per quanto assunta ius proprio, “non può ritenersi assolutamente imprevedibile e abnorme, in ragione della contestualità della lavorazione e dell’ambito lavorativo che atteneva appunto al taglio delle piante e alla preparazione del legname ricavato” aggiunge la sentenza, che conclude tornando al punto cardine di tutto il discorso.

“E n ogni caso vale il principio ripetutamente ribadito dalla Suprema Corte che, non avendo il lavoratore ricevuto una adeguata formazione sul contenuto della prestazione lavorativa, né essendo verificabili prescrizioni lavorative sui limiti cui era tenuto il suo intervento, la sua condotta, benché imprudente e avventata, non può assurgere a causa esclusiva dell’infortunio occorso quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità.

Le disposizioni di sicurezza perseguono infatti il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l’area di rischio da gestire comprende il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro impedire l’instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità dei lavoratori”.

Il ricorso del titolare della ditta di legnami è stato dunque rigettato e la condanna confermata.

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