Compensatio lucri cum damno e danno differenziale Inail

Il risarcimento del danno biologico temporaneo, del danno morale e della cosiddetta “personalizzazione” del danno biologico permanente non possono essere ridotti per effetto dell’intervento dell’assicuratore sociale.

Il giudice non può sottrarre tout court per intero l’indennizzo erogato dall’Inail alla vittima di un fatto illecito dal credito risarcitorio che sia stato “a monte” calcolato, ma solo quando l’uno e l’altro siano destinati a ristorare pregiudizi “identici” (e non “omogenei”). A riaffermare questo fondamentale principio a tutela dei danneggiati in tema di compensatio lucri cum damno la Cassazione, III Sezione Civile, con la rilevante ordinanza n. 30293 depositata il 31 ottobre 2023.

 

Centauro chiede i danni in tribunale per in gravissimo incidente stradale

Il conducente di uno scooter nel 2015 aveva citato in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, il conducente di un autocarro e la compagnia di assicurazione del veicolo per essere risarcito dei gravi danni patiti in seguito ad un incidente occorsogli con il veicolo in questione, ritenendo del tutto inadeguata la somma di centomila euro riconosciutagli dall’assicurazione.

Il giudice riconosce il risarcimento, ma detrae interamente l’importo corrisposto dall’Inail

Il giudice con sentenza del 2018, accertata l’esclusiva responsabilità del guidatore dell’autocarro, aveva parzialmente accolto la domanda, quantificando il danno biologico nella misura complessiva di 566.674,47 euro, sulla base delle Tabelle Milanesi relative all’anno 2018 (più precisamente, 525.687,50 euro per danno da invalidità permanente e 27.342 euro per danno da invalidità temporanea) e detraendo da tale cifra la somma di 262.002,32 euro quale importo corrispostogli dall’Inail, comprensivo dell’indennità da temporanea, degli acconti e ratei già pagati e del valore capitale della rendita calcolato in 218.468,08 euro, sulla scorta di una valutazione del danno da invalidità permanente nella misura del 40% sulla base dei criteri propri dell’Istituto, avendo questo agito in surroga nei diritti del danneggiato ai sensi dell’art. 1916 c.c.. Il tribunale aveva inoltre liquidato il complessivo importo di 17.114,97 euro per danni patrimoniali, di cui 8.644,97 per le spese mediche sostenute, cinquemila per quelle future e 3.470 euro per in danni al mezzo.

La sentenza di primo grado era stata quindi integralmente confermata, nel 2021, dalla Corte d’Appello meneghina, che aveva rigettato entrambi i contrapposti gravami interposti, in via principale, dalla vittima in relazione alla quantificazione dei danni e, in via incidentale, dal conducente dell’autocarro e dalla compagnia assicurativa che contestano l’esclusiva responsabilità nel sinistro.

Il danneggiato ricorre per Cassazione contestando la detrazione totale

Il danneggiato a questo punto ha proposto ricorso anche per Cassazione con diversi motivi di doglianza. Ma quello che qui preme è il secondo relativo alla confermata detrazione anche in appello dal risarcimento di tutte le somme indennizzate dall’Inail, che sarebbe stata operata senza alcuna distinzione tra danno patrimoniale e non patrimoniale, comprendendo addirittura quelle versate alla coniuge del danneggiato e in spregio al consolidato principio secondo il quale tale sottrazione può avvenire solo tra poste omogenee.

Il ricorrente ha sottolineato come nell’atto di appello fossero indicate chiaramente le diverse poste che componevano l’indennizzo erogato dall’Inail essendo stato in particolare evidenziato che, per citarlo, “dal prospetto Inail si evince come la somma complessiva che costituisce la rendita Inail capitalizzata è costituita anche dalla somma di euro 38.228,20 per 476 giorni di indennità temporanea”. La quale, ha asserito con forza, “costituisce indennizzo di natura patrimoniale, come tale assolutamente non sovrapponibile al danno biologico dal quale è stato detratto da parte dei giudici di merito”.

La Suprema Corte accoglie le doglianze e fa chiarezza

Motivo assolutamente fondato secondo la Suprema Corte che rammenta come, secondo il principio affermato, in tema di compensatio lucri cum damno, dalla stessa Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 12566 del 22 maggio 2018, “i pagamenti effettuati dall’assicuratore sociale riducono il credito risarcitorio vantato dalla vittima del fatto illecito nei confronti del responsabile, quando l’indennizzo abbia lo scopo di ristorare il medesimo pregiudizio del quale il danneggiato chiede di essere risarcito”.

“Ciò posto, e considerata la diversità strutturale e funzionale dell’indennizzo corrisposto dall’assicuratore sociale (Inail) nel caso di infortunio rispetto al risarcimento civilistico del danno da lesione della salute, il criterio più coerente al detto principio per calcolare il credito risarcitorio residuo del danneggiato nei confronti del terzo responsabile (e cioè il c.d. danno differenziale) non è certo quello – che di fatto risulta applicato dai giudici di merito – di sottrarre tout court per intero l’indennizzo Inail dal credito risarcitorio che sia stato “a monte” calcolato, e non è nemmeno quello di operare tale sottrazione secondo “poste omogenee” (vale a dire distinguendo all’interno dell’indennizzo Inail le soli due grandi poste del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale e sottraendo tout court l’importo complessivamente liquidato per quest’ultima categoria di danno), ma è piuttosto quello di sottrarre l’indennizzo Inail dal credito risarcitorio solo quando l’uno e l’altro siano stati destinati a ristorare pregiudizi identici (criterio per “poste identiche” e non per poste omogenee“.

 

L’indennizzo Inail va sottratto dal credito risarcitorio solo se ristorano pregiudizi identici

Per meglio comprendere l’importanza di questa operazione i giudici del Palazzaccio ricordano quali pregiudizi sono indennizzati dall’Inail, per poi esaminare in che conto debbano essere tenuti i relativi indennizzi al momento della liquidazione del danno differenziale.

Nel caso di infortunio non mortale, proseguono gli Ermellini, l’Inail esegue in favore della vittima quattro prestazioni principali: eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno biologico permanente, importo liquidato in forma di capitale per le invalidità comprese tra il 6 e il 16%, ed in forma di rendita per le invalidità superiori;  eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno (patrimoniale) da perdita della capacità di lavoro (danno presunto juris et de jure nel caso di invalidità eccedenti il 16% e indennizzato attraverso una maggiorazione della rendita dovuta per il danno biologico permanente calcolata moltiplicando la retribuzione del danneggiato per un coefficiente stabilito dall’Allegato 6 al D.M. 12 luglio 2000; eroga una indennità giornaliera per il periodo di assenza dal lavoro, commisurata alla retribuzione e decorrente dal quarto giorno di assenza; si accolla le spese di cura, di riabilitazione e per gli apparecchi protesici.

L’istituto non indennizza il danno biologico temporaneo, quello morale e la “personalizzazione”

L’Inail, dunque, continua la Cassazione, “non indennizza il danno biologico temporaneo, non accorda alcuna “personalizzazione” dell’indennizzo per tenere conto delle specificità del caso concreto, non indennizza i pregiudizi non patrimoniali non aventi fondamento medico-legale (ovvero i pregiudizi morali)”.

Ne consegue che se l’Inail ha pagato al danneggiato un capitale a titolo di indennizzo del danno biologico, “il relativo importo va detratto dal credito risarcitorio vantato dalla vittima per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale. Se l’Inail ha costituito in favore del danneggiato una rendita, “occorrerà innanzitutto determinare la quota di essa destinata al ristoro del danno biologico, separandola da quella destinata al ristoro del danno patrimoniale da incapacità lavorativa: la prima andrà detratta dal credito per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale, la seconda dal credito per danno patrimoniale da incapacità di lavoro, se esistente”.

Inoltre, “poiché il credito scaturente da una rendita matura de mense in mensem, il diffalco dovrà avvenire, con riferimento al danno biologico: sommando e rivalutando i ratei di rendita già riscossi dalla vittima prima della liquidazione;  capitalizzando il valore della rendita non ancora erogata, in base ai coefficienti per il calcolo dei valori capitali attuali delle rendite Inail, di cui al D.M. 22 novembre 2016 ; ovviamente l’una e l’altra di tali operazioni andranno compiute sulla quota-parte della rendita omogenea al danno che si intende liquidare, e dunque la quota-parte destinata all’indennizzo del danno biologico o quella destinata all’indennizzo del danno patrimoniale, a seconda che si tratti di liquidare l’uno o l’altro”.

 

Dunque tali “poste” non si possono ridurre per effetto dell’intervento dell’assicuratore sociale

Il risarcimento del danno biologico temporaneo, del danno morale e della cosiddetta “personalizzazione” del danno biologico permanente “in nessun caso potranno essere ridotti per effetto dell’intervento dell’assicuratore socialeribadisce la Cassazione.

Infine, il credito per inabilità temporanea al lavoro e quello per spese mediche di norma non porranno problemi di calcolo del danno differenziale, essendo pregiudizi integralmente ristorati dall’Inail, “salvo ovviamente che la vittima deduca e dimostri la sussistenza di pregiudizi eccedenti quelli indennizzati dall’Inail (ad esempio, per la perduta possibilità di svolgere lavoro straordinario, o per spese mediche non indennizzate dall’Inail”.

Nel caso di specie la Corte d’appello non ha applicato tali principi: come va effettuato il calcolo

Scendendo al caso specifico, la Suprema Corte prende atto che il Tribunale aveva liquidato un danno biologico da invalidità temporanea (27.342 euro) e un danno biologico da invalidità permanente (525.687,50 euro): importi naturalmente calcolati alla data della sentenza di primo grado, secondo le Tabelle di Milano del 2018. “Ma non ha liquidato alcun danno da perdita o riduzione della capacità di lavoro, ha liquidato un danno patrimoniale solo con riferimento alle spese mediche ed ai danni al mezzo. In base ai sopra detti criteri, dunque, l’operazione di diffalco dell’indennizzo dovrà procedere cominciando dal distinguere la quota di indennizzo riferibile al danno patrimoniale da quella riferibile al danno biologico da invalidità permanente e quindi detraendo solo quest’ultima dalla sola voce del danno biologico come sopra calcolato nel giudizio civile per invalidità permanente. Nel compiere tale operazione si dovrà poi naturalmente tenere conto del fatto che una prima quota di indennizzo risulta già corrisposta attraverso i ratei della rendita già maturati (i quali dunque dovranno essere sommati tra di loro e rivalutati alla data della decisione), mentre il valore della rendita non ancora erogata andrà capitalizzata alla data della decisione”.

Da tale complessiva operazione – va a concludere la Cassazione – la Corte d’appello “erroneamente si è ritenuta esentata per il fatto che, secondo quanto affermato in sentenza, la contestazione dell’appellante sul punto risultava generica e la documentazione acquisita non esaustiva”, laddove invece, convengono con il ricorrente gli Ermellini, “in realtà, già i dati in possesso della Corte territoriale, quali evidenziati pure in sentenza (e cioè, importo complessivo corrisposto dall’Inail; importo dei ratei già pagati; valore capitalizzato della rendita; entità dell’invalidità), consentivano di ritenere che, proprio in base alla citata previsione di cui del D. Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 2, lett. b), (che, come detto, presume juris et de jure, in caso di invalidità superiori al 16%, l’esistenza anche di un danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e lo liquida non separatamente ma attraverso una maggiorazione della rendita dovuta per il danno biologico permanente), una parte di quell’indennità era certamente riferibile non al danno biologico da invalidità permanente ma al danno patrimoniale e non poteva pertanto essere detratta dall’importo liquidato a titolo di danno biologico da invalidità permanente, perché non funzionale al ristoro del “medesimo pregiudizio”. Poiché i criteri di calcolo di tale parte dell’indennizzo sono fissati nella legge, a tutto concedere, anche sulla base dei dati indicati la Corte avrebbe potuto procedere alla determinazione di tale parte dell’indennizzo attraverso un calcolo matematico”. E in ogni caso, conclude la Cassazione, “una decisione di non liquet non è comunque giustificata dal momento che la Corte avrebbe ben potuto richiedere informazioni all’Inail, ex art. 213 c.p.c., circa il valore capitale della rendita corrisposta, distinta la parte patrimoniale da quella non patrimoniale.

Il motivo di ricorso è stato pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, per il ricalcolo del risarcimento sulla base dei principi di diritto riaffermati.

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