L’etilometro non revisionato rende sempre nullo il test: si “allinea” anche la Cassazione penale

La Cassazione ha fugato ogni dubbio: se l’etilometro non è stato sottoposto alla revisione periodica, le misurazioni effettuate non sono valide. Quindi, la difesa dell’imputato non deve più dimostrare eventuali malfunzionamenti dell’apparecchio, cosa quasi sempre impossibile. E una “svolta” nella giurisprudenza penale quella impressa dalla quarta sezione penale della Suprema Corte con la sentenza n. 38618/2019 depositata il 19 settembre 2019: finora, infatti, questo principio valeva solo in campo civile.

Gli Ermellini, sulla “scia della Corte Costituzionale, hanno ribaltato l’orientamento consolidato della giurisprudenza che finora aveva privilegiato la tutela della sicurezza stradale sull’interesse dell’imputato in tema di autovelox ed etilometri dei quali non infrequentemente le pubbliche amministrazioni non sono un grado di dimostrare l’aggiornata taratura della funzionalità. Dunque, in tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo, costituisce onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell’etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione.

 

La battaglia legale di un automobilista condannato per guida in stato di ebbrezza

Il discusso pronunciamento trae origine dalla battaglia legale di un automobilista lombardo condannato nel 2017 dal Tribunale di Pavia, a seguito di giudizio abbreviato, a quattro mesi di reclusione e a mille euro di ammenda per il reato di cui all’art. 186 comma 2, lett. c) del Codice della Strada: era stato pizzicato alla guida della sua vettura, una Bmw, in stato di ebbrezza, essendo stato accertato un valore corrispondente al tasso alcolemico pari a 1,88 g/l alle ore 21.40 e di1,84 g/l alle 21.53.

Sentenza confermata dalla Corte d’appello di Milano, la quale aveva preliminarmente rilevato che il verbale di Polizia Stradale non conteneva un’espressa menzione circa l’esecuzione della revisione dell’apparecchio, salvo però escludere l’esistenza nell’ambito del processo penale di un onere formale della prova all’interno del processo penale stesso, in forza del quale le parti dovrebbero ricercare e produrre gli elementi a sostegno della propria tesi.

Ad avviso della Corte di merito, l’esito positivo dell’alcoltest era idoneo a costituire prova della sussistenza dello stato di ebbrezza e, semmai, era l’imputato che avrebbe dovuto fornire la prova contraria a tale accertamento, dimostrando vizi o errori di strumentazione o di metodo nell’esecuzione dell’aspirazione ovvero vizi correlati all’omologazione dell’apparecchio.

 

Il ricorso per Cassazione

Contro quest’ultima sentenza l’automobilista, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione avverso con due motivi di impugnazione. In particolare, violazione degli artt. 186, comma 2, lett. c), C.d.S., 379, comma 8, D.P.R. n. 495 del 2002, 192 e 533 cod. proc. pen., e 27, comma secondo, Cost.: l’imputato deduceva che l’etilometro risultava solo omologato e non sottoposto alla revisione periodica prescritta dall’art. 379, comma 8, D.P.R. n. 495 del 2002, e che l’onere di prova sul punto spettava alla pubblica accusa.

Egli ricordava altresì che la revisione costituisce l’unica operazione a garanzia della precisione dello strumento, della sua affidabilità e dell’attendibilità del risultato e sosteneva che il caso in esame doveva essere ritenuto assimilabile a quello definito con sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2015, con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 45 D. Lgs. n. 285 del 1992, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedeva che le apparecchiature destinate all’accertamento delle violazioni del limite di velocità fossero sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e taratura.

Concludendo, alla luce dei principi affermati da tale decisione, recepiti dalla giurisprudenza civile, e dell’obbligo di sottoporre ai sensi dell’art. 379, comma 8, D.P.R. n. 495 del 2002 gli etilometri a verifiche di prova, il ricorrente asseriva che doveva essere posto in capo alla pubblica amministrazione un preciso onere in tal senso, il cui mancato assolvimento avrebbe impedito di poter considerare legittimo l’uso di detti apparecchi ed attendibili i suoi risultati.

 

La Suprema Corte gli dà ragione

Ebbene, secondo gli Ermellini il motivo di ricorso, con cui l’automobilista, in sintesi, deduceva che l’etilometro risultava solo omologato e che l’onere di dimostrare la revisione di detto strumento spettava alla pubblica accusa, è fondato.

La Cassazione ripercorre l’evoluzione giuridica sulla questione. In base all’orientamento consolidato della Corte, in tema di guida in stato di ebbrezza, “allorquando l’alcoltest risulta positivo costituisce onere della difesa dell’imputato fornire una prova contraria a detto accertamento quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l’utilizzo di una errata metodologia nell’esecuzione dell’aspirazione, non potendosi essa limitare a richiedere il deposito della documentazione attestante la regolarità dell’etilometro e non essendo sufficiente la mera allegazione di difettosità o assenza di omologazione dell’apparecchio” si spiega nella sentenza, aggiungendo anche che il D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 379, commi 6, 7 e 8 (regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada), “si limita ad indicare le verifiche alle quali gli etilometri devono essere sottoposti per poter essere omologati ed adoperati, ma non prevede nessun divieto la cui violazione determini espressamente l’inutilizzabilità delle prove acquisite”.

 

Anche gli autovelox, come ogni strumento di misura, vanno sottoposti a verifica periodica

In questo “pacifico quadro giurisprudenziale”, però, si è inserita la pronunzia della Corte costituzionale n. 113 del 29 aprile 2015, che, in sede di giudizio di legittimità costituzionale incidentale, “ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 45, co. 6 D. Igs. 285 del 1992, nella parte in cui non prevedeva che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità (cosiddetti autovelox) fossero sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura, così esonerando, secondo l’interpretazione datane dal diritto vivente, gli utilizzatori dall’obbligo di verifica periodica di funzionamento e taratura delle apparecchiature”.

Il caso in questione riguardava un “incidente” promosso dalla Corte di cassazione civile in un giudizio di opposizione a un’ordinanza prefettizia di rigetto del ricorso avverso un verbale di accertamento della Polizia stradale.

Il giudice delle leggi riteneva, in buona sostanza, che la citata disposizione collidesse con il “principio di razionalità”, intesa sia nel senso di razionalità pratica, ovvero di ragionevolezza, “essendo evidente che qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad altri eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, mutamenti della tensione di alimentazione”; sia nel senso di razionalità formale o coerenza interna della norma “in ragione del fatto che l’uso di tali apparecchiature è strettamente collegato al valore probatorio delle loro risultanze nei procedimenti sanzionatori inerenti alle trasgressioni dei limiti di velocità”: tutte circostanze che rendevano intrinsecamente irragionevole l’esonero delle apparecchiature da verifiche periodiche.

 

E l’onere della prova spetta al soggetto “accusatore”

Dunque, l’affidabilità dell’omologazione e la taratura di questi apparecchi giustifica, in considerazione delle esigenze di tutela della sicurezza stradale, che “le risultanze degli stessi costituiscono fonte di prova della violazione, senza che l’inerente onere probatorio (pressoché diabolico) di dimostrare il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura possa gravare sull’automobilista, dando luogo ad una presunzione (quasi assoluta) in danno dello stesso”.

La Consulta ha dunque ribadito la legittimità dell’utilizzo di tali apparecchiature, “siccome ragionevole nell’ottica del bilanciamento tra la tutela della sicurezza stradale e quella delle situazioni soggettive dei sottoposti alle verifiche, in qualche modo compressa, quest’ultima, per effetto della parziale inversione dell’onere della prova, dal momento che sarà il ricorrente contro l’applicazione della sanzione a dover eventualmente dimostrare il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura)”; ma ha anche evidenziato, di contro, “che una tale limitazione trova spiegazione proprio nel ragionevole affidamento derivante dalla custodia e dalla permanenza della funzionalità delle apparecchiature, garantita quest’ultima da verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, affidamento che degrada in assoluta incertezza se queste ultime non vengono effettuate”.

Secondo la Cassazione, l’impianto argomentativo fatto proprio dalla Corte Costituzionale è opportunamente ispirato ad “evidente buon senso” e alla concretizzazione della tutela del generale principio di affidamento dell’utente nell’attività della P.A., “tradotto in principi giuridici attraverso il canone di razionalità, enunciato e coniugato in modo chiaro allo scopo di realizzare un ragionevole bilanciamento dell’interesse a garantire un elevato livello di tutela della sicurezza, ma anche i diritti del cittadino, che non può certo rimanere esposto ad un’incontrollabile attività della P.A. per il tramite dei suoi organi accertatori, profilandosi incomprensibile ed ingiustificabile la mancata previsione di controlli periodici degli apparecchi, da cui deriva in modo consequenziale l’obbligo per gli agenti preposti all’accertamento di attestare appositamente che le relative attività preventive siano state regolarmente compiute, secondo le prescrizioni imposte dalla legge”.

 

Il principio è stato applicato anche all’etilometro dalla Cassazione Civile

Questo principio affermato dalla Corte costituzionale in tema di autovelox è stato applicato anche al caso dell’etilometro dalla Cassazione civile, secondo cui, “in tema di violazione al codice della strada, il verbale dell’accertamento effettuato mediante etilometro deve contenere, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’attestazione della verifica che l’apparecchio da adoperare per l’esecuzione del cosiddetto “alcoltest” è stato preventivamente sottoposto alla prescritta ed aggiornata omologazione ed alla indispensabile corretta calibratura; l’onere della prova del completo espletamento di tali attività strumentali grava, nel giudizio di opposizione, sulla P.A. poiché concerne il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria”.

Nella sentenza si citano svariati pronunciamenti della Cassazione civile la quale, scrivono i giudici della quarta sezione penale, “illustrava il quadro normativo sulle caratteristiche rigorosamente previste per l’etilometro in funzione della configurazione della piena attendibilità della correlata attività di accertamento”.

In particolare, alla luce delle disposizioni in materia, in una delle ordinanze citate si sottolineava che l’effettiva legittimità dell’esecuzione dell’accertamento mediante etilometro “non poteva prescindere dall’osservanza di appositi obblighi formali, dalla cui violazione può discendere l’invalidità dell’accertamento stesso, tra í quali, in particolare, l’attestazione – all’atto del controllo – dell’avvenuta preventiva sottoposizione dell’apparecchio alla prescritta e aggiornata omologazione, oltre che alla indispensabile corretta calibratura (da riportare sul libretto di accompagnamento), tali da garantire l’effettivo “buon funzionamento” dell’apparecchio e, quindi, la piena attendibilità del risultato conseguito attraverso la sua regolare utilizzazione”.

In questa ordinanza si concludeva quindi che, sulla scorta di tali considerazioni, il verbale di accertamento doveva contenere – anche per garantire l’effettività della trasparenza dell’attività compiuta dai pubblici ufficiali – l’attestazione dei dati relativi allo svolgimento dei suddetti adempimenti, in modo tale da garantire la controllabilità della legittimità della complessiva operazione di accertamento. E la Cassazione civile attribuiva l’onere della prova circa il completo assolvimento dell’espletamento dell’evidenziata attività preventiva strumentale ai fini della legittimità – e della piena attendibilità – dell’accertamento alla Pubblica Amministrazione, “siccome attinente al fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria costituente oggetto del giudizio di opposizione instaurato o ai sensi dell’art. 6 o ai sensi dell’art. 7 del D. Igs. n. 150 del 2011”.

La Suprema Corte, quindi, rammenta che la questione dell’onere della prova della regolarità dell’etilometro era stata già sottoposta all’attenzione della stessa Quarta Sezione penale, “che accennava all’esigenza di affrontare il problema della coerenza della soluzione fino ad allora prescelta con i principi espressi dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza civile”.

In concreto, tuttavia, questa tematica non veniva affrontata, perché “nelle fattispecie esaminate risultava dimostrata l’effettuazione dell’omologazione e della revisione dell’apparecchio, con conseguente declaratoria di inammissibilità del relativo motivo di ricorso”.

 

Anche la Cassazione penale si allinea

Diverso invece il caso in questione nel giudicare il quale “questo collegio – si spiega nella sentenza – , sulla scia dell’insegnamento della Corte costituzionale, recepito dalla giurisprudenza civile, ritiene di modificare il tradizionale orientamento fin qui seguito.

Finora infatti la giurisprudenza aveva privilegiato “le esigenze di tutela della sicurezza stradale, a fronte dell’interesse dell’imputato ad ottenere tutela in presenza di accertamenti automatici effettuati da apparecchi quali gli autovelox o gli etilometri, dei quali spesso le amministrazioni non sono in grado di dimostrare l’aggiornata taratura della funzionalità – ammettono gli Ermellini – L’orientamento tradizionale di ritenere sufficiente l’omologazione dell’apparecchio ha comportato il gravoso onere per il privato, sia in sede civile sia penale, di dimostrare la sussistenza, nel caso concreto, di un difetto di funzionamento.

La prova del malfunzionamento dell’etilometro appare tanto più difficoltosa in considerazione della disponibilità dell’apparecchio in capo alla pubblica amministrazione”.

Alla luce, tuttavia, dei “condivisibili” principi enunciati dalla Corte Costituzionale circa gli autovelox, per cui la mancata sottoposizione a manutenzione di qualsiasi apparecchio di misura appariva intrinsecamente irragionevole, e del fatto che essi sono stati estesi dalla giurisprudenza civile in relazione all’etilometro, “non vi è ragione – vanno a concludere gli Ermellini – di non riconoscerli anche in sede penale. In caso contrario, si creerebbe anche un’evidente ed irragionevole distonia – in particolare tra i settori civile, amministrativo e penale – nella parte in cui l’onere della prova del funzionamento dell’etilometro spetterebbe alla pubblica amministrazione in sede civile e all’imputato in sede penale.

Addirittura ne deriverebbe la conseguenza irrazionale – incidente anche sul profilo sostanziale – secondo cui una medesima fattispecie potrebbe costituire solo illecito penale e non illecito amministrativo, in totale contrasto col principio di sussidiarietà del diritto penale e, cioè, dell’utilizzazione dello strumento penale solo quale extrema ratio, in caso di insufficienza degli strumenti sanzionatori previsti dagli altri rami dell’ordinamento“.

Sotto il profilo processuale, poi, puntualizza la Quarta sezione penale della Suprema Corte, “il principio sopra affermato è conforme a quello di carattere generale secondo cui l’accusa deve provare i fatti costitutivi del fatto reato, mentre spetta all’imputato dimostrare quelli estintivi o modificativi di una determinata situazione, rilevanti per il diritto. La parte che allega un fatto (nella specie: superamento del tasso alcolemico), affermandolo come storicamente avvenuto, deve introdurre nel processo elementi di prova idonei a dimostrarne la veridicità.

L’onere della prova dell’imputato di dimostrare il contrario può sorgere solo in conseguenza del reale ed effettivo accertamento da parte del pubblico ministero del regolare funzionamento e dell’espletamento delle dovute verifiche dell’etilometro”.

La sentenza, nell’annullare il provvedimento impugnato e nel rinviare il caso alla alla Corte d’Appello di Milano per il nuovo giudizio da compiere secondo tali dettami, enuncia quindi il seguente principio di diritto: “in tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo, costituisce onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell’etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione”.

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