Il danno biologico non deve coincidere col danno patrimoniale

Non vi è alcuna corrispondenza tra entità del danno biologico ed entità del danno patrimoniale da esso causato: un danno biologico di lieve entità, che però interessi una parte del corpo decisiva per l’attività del soggetto danneggiato, ad esempio, ha un’incidenza molto maggiore rispetto ad una lesione invece di grave entità che tuttavia non incida sulle capacità di lavoro dell’infortunato.

A ribadire questo fondamentale principio, e come il criterio suesposto sia del tutto inadeguato a garantire l’integralità del risarcimento, la Cassazione, terza sezione Civile, con la sentenza n. 26009/23 depositata il 6 settembre 2023.

Un imbianchino precipita da un ponteggio, per il suo cedimento, e riporta gravi lesioni

La complessa vicenda. Un imbianchino, nella lontana primavera del 1997, era stato incaricato di intonacare le pareti interne ed esterne di un edificio. L’ingegnere responsabile dei lavori in corso nel fabbricato lo aveva altresì autorizzato ad utilizzare i ponteggi ivi installati da un’impresa che stava realizzando altri interventi. L’artigiano però, mentre stava intonacando una parete esterna, a causa del cedimento del ponteggio, era precipitato da oltre sei metri di altezza, rovinando a terra e riportando lesioni gravi, in particolare ai polsi, oltre che su varie parti del corpo, ed era stato costretto ad una lunga riabilitazione, con una accertata invalidità permanente del 38%.

Condannato in sede penale, e al risarcimento del danneggiato, il responsabile dei lavori

Il lavoratore aveva quindi sporto querela nei confronti dell’ingegnere, che era stato imputato per il reato di lesioni personali gravissime con l’aggravante di essere stato commesso con la violazione delle norme antinfortunistiche. Il Tribunale penale di Firenze ne aveva riconosciuto la responsabilità, condannandolo, tra l’altro, a rifondere i danni al danneggiato, sul presupposto che, prima di farlo salire sul ponteggio, avrebbe dovuto assicurarsi che la struttura fosse idonea e non pericolante. Decisione integralmente confermata in appello. L’imputato aveva proposto ricorso anche per Cassazione la quale, in sede penale, con sentenza del 2005, aveva dichiarato estinto il reato per prescrizione, confermando tuttavia le statuizioni civili dei giudici di merito avverso le quali l’imputato aveva pure proposto motivi di impugnazione.

Chiuso il procedimento penale, tuttavia, l’artigiano per ottenere il giusto risarcimento aveva dovuto avviare anche una causa civile. Ma l’ingegnere, nonostante la condanna, si era costituito asserendo che la responsabilità dell’accaduto non sarebbe stata sua ma dell’impresa edile, chiamando dunque in causa gli eredi del titolare della ditta, nel frattempo scomparso, e la sua compagnia di assicurazione.

In primo grado il tribunale di Firenze aveva ritenuto responsabili in solido sia il professionista sia gli eredi del titolare dell’impresa, condannandoli a risarcire il lavoratore e accogliendone le rispettive domande di regresso nei confronti delle proprie compagnie di assicurazione. Ma aveva altresì ritenuto che vi fosse anche un concorso di colpa, per quanto minoritario, del 20 per cento da parte dell’artigiano, con conseguente riduzione della liquidazione a suo favore, e ne aveva anche respinto le domande risarcitorie nei confronti anche della proprietaria dell’immobile.

L’artigiano ha quindi proposto appello, per contestare sia l’attribuzione del concorso di colpa, sia il mancato riconoscimento del danno “pensionistico” e del danno da perdita di reddito, che il Tribunale aveva ritenuto non provato. La Corte d’appello di Firenze aveva accolto solo in parte il ricorso, confermando la responsabilità in solido dei soggetti già condannati al risarcimento, respingendo il loro appello incidentale e confermando per il resto l’obbligo delle assicurazioni verso i loro assicurati.

Il danneggiato tuttavia, ritenendo che il risarcimento stabilito dalla Corte territoriale non fosse ancora congruo, ha proposto ricorso anche per Cassazione, contestando innanzitutto il concorso di colpa attribuitogli e osservando come  i giudici penali, sia in primo sia in secondo grado, in realtà fossero stati investiti della questione, e lo avessero espressamente escluso. Essendovi dunque su tale presunto concorso l’accertamento del giudice penale, sarebbe stato impedito a quello civile un accertamento autonomo. E la Suprema Corte gli ha dato ragione perché sul concorso di colpa: “v’è stata la pronuncia dei giudici di merito e dunque anche su tale questione si è formato il giudicato, con conseguente preclusione per il giudice civile”.

 

Erroneamente calcolata la perdita della capacità lavorativa sulla percentuale d’invalidità

Ma il motivo di doglianza che più preme è il secondo, con cui l’artigiano infortunato ha contestato le conclusioni della Corte territoriale in merito al risarcimento per la perdita della capacità lavorativa. I giudici avevano accertato, su prova del ricorrente, che costui aveva contratto i redditi dopo l’incidente per i successivi 14 anni durante i quali aveva ripreso a lavorare. Il giudice aveva risarcito tale perdita prendendo come base di calcolo il reddito di 57.760 euro, considerando che negli anni successivi invece il reddito medio era stato di 17581,35, notevolmente inferiore al 38% di invalidità.

La tesi della Corte di Appello, invece, era che, poiché l’invalidità permanente accertata era del 38%, essa non poteva che avere influito sul calo del reddito esattamente in tale percentuale: se il reddito era calato di più del 38 per cento era per altre cause non rilevanti ai fini del risarcimento, con la conseguenza che la perdita di guadagno poteva essere riconosciuta soltanto nella percentuale della invalidità. Conseguentemente, era stato ritenuto che la contrazione del reddito non poteva che essere della misura del 38% di quello iniziale (57.760 euro come detto) e che dunque, al netto dell’invalidità, negli anni successivi, il reddito avrebbe comunque dovuto essere in media di 21.948,00 euro (ossia, per l’appunto, il 38% in meno dei 57.760).

Il ricorrente ha contestato questo criterio assumendo che era fittizio, ma soprattutto basato sull’assunto che il reddito dovesse per forza considerarsi contratto nella percentuale di invalidità, ossia di danno biologico, mentre non necessariamente questa equivalenza era corretta, ben potendo un’invalidità del 38% indurre una contrazione dei guadagnai del 50% o comunque in una misura superiore.

 

Nessun automatismo tra percentuale di danno biologico e patrimoniale

E anche in questo caso per gli Ermellini la censura è assolutamente fondata. “Il criterio secondo cui la contrazione di reddito del danneggiato è equivalente all’invalidità subita è artificioso, non ha alcun fondamento, né ovviamente normativo, né logico, ben potendo un’invalidità lieve comportare una grossa contrazione dei guadagni, e viceversa, a seconda del tipo di invalidità. Non vi è cioè alcuna corrispondenza esatta tra entità del danno biologico ed entità del danno patrimoniale da esso causato: un danno biologico di lieve entità se interessa, ad esempio, un arto decisivo per il lavoro (la mano per lo scalpellino) ha un’incidenza assai maggiore di una lesione di grave entità che però non incide sulla capacità di lavoro del danneggiato (la zoppia per un lavoratore intellettuale), cosi che il criterio si dimostra del tutto inadeguato a garantire l’integralità del risarcimento come imposta dal sistema delle fonti (1223 e 2056 c.c.)”.

Per completezza di informazione, i giudici del Palazzaccio hanno invece rigettato il motivo di doglianza del ricorrente che lamentava il mancato riconoscimento del “danno pensionistico” e, quanto ai ricorsi incidentali dei soggetti condannati al risarcimento, tra le varie censure respinte hanno invece accolto in particolare quella della decurtazione dalla liquidazione complessiva dovuta della rendita Inail percepita dal lavoratore infortunato.

La sentenza impugnata è stata pertanto cassata, con l’accoglimento dei suddetti motivi, e rinviata alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, per la rivalutazione della causa e del risarcimento dovuto alla vittima.

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